Come avvicinarsi ad un personaggio:
1- Sollecitazioni cartacee (studio vita e opere dell’autore, momento storico in cui è vissuto il personaggio, caratteri autobiografici e similitudini con la propria vita)
2- Sollecitazioni visive (foto e filmati sul personaggio da interpretare, foto dell’autore, studio visivo, “perché quell’autore ha scritto questa storia?”)
3- Presentazione (studiare personaggio e creare simbiosi tra te ed il personaggio, segnarsi le sue qualità e confrontarsi con gli altri attori presentandolo)
4- Interpretazione
5- Immaginazione
6- Stabilizzazione dell'equilibrio Psicofisico tra IO quotidiano e IO eletto
Varie verità sull’interpretazione di un personaggio:
1- Essere credibili a se stessi
2- Essere credibili al copione
3- Essere credibile alla verità storica e del paese
4- Essere credibile per lo stile [fondamentale da ricordare per un copione è lo stile dell’opera (ricerca dello stile, adeguarsi allo stile dell’opera)]
5- Essere credibile al personaggio che si interpreta (“se il personaggio mi vedesse sarei credibile?”)
6- Essere credibile agli altri personaggi
Infine ricordarsi di:
- Studio senso del corpo (riuscire a controllare il corpo e individuazione del centro del corpo)
- Studio della “bellezza” (bellezza intesa come “l’insieme di tutto”)
Ricerca dei 4 sensi: VERITA', FORMA, BELLEZZA, INTEREZZA
mercoledì 21 aprile 2010
Generi Teatrali
Dramma, dal greco "drama” è una forma letteraria È sinonimo di testo teatrale, o opera teatrale. è un intreccio narrativo compiuto e destinato alla rappresentazione teatrale. Può essere in forma verbale scritta oppure improvvisata da un attore, o ancora in forma di narrazione non verbale, tramite la gestualità o la danza. Un dramma può avere argomento tragico o comico, a seconda delle situazioni descritte. Nel teatro, il dramma ha mantenuto l'accezione in uso nell'Antica Grecia, dove indicava un qualsiasi componimento destinato alla scena, fosse esso una tragedia o una commedia, .Il concetto di dramma e di drammaticità è legato maggiormente ad un dialogo che non ad un monologo o ad una lirica.
Farsa Rappresentazione teatrale di carattere comico, che fa uso di toni caricaturali e situazioni stravaganti. Differisce dalla commedia soprattutto per il maggiore risalto dato alla trama, che nella commedia è invece subordinata alla rappresentazione dei caratteri.La farsa non indaga la psicologia si trova tra due tragedie. E un esasperazione della messa in scena tutto quello che e fuori schema fa ridere. termine latino “farcire”
Commedia Componimento teatrale o Opera cinematografica dalle tematiche leggere. La commedia spesso tratta di amori controversi perlopiù a lieto fine.La commedia, nella sua forma scritta, ha origine in Grecia nel VI secolo a.C. Commedia Komos corteo festivo indica come questa forma di drammaturgia sia lo sviluppo in una forma compiuta delle antiche feste onore delle divinità elleniche.La commedia indaga la psicologia dei personaggi.
Tragedia una delle forme più antiche del teatro nasce intorno al VI secolo a.C. nell'Antica Grecia, in onore del dio Dioniso, il quale veniva festeggiato con danze, canti e feste. Il termine tragedia deriva dalla parola tragos, ovvero capro, e oidè, ovvero canto.
Musical (abbreviazione di musical comedy) è un genere di rappresentazione teatrale in cui l'azione viene portata avanti sulla scena non solo dalla recitazione, ma anche dalla musica, dal canto e dalla danza.
Melodramma Genere teatrale in cui i personaggi si esprimono cantando e l’azione scenica è accompagnata dalla musica. Il termine, che deriva dalle parole greche mélos (“canto, melodia”) e drâma (“azione”) è sinonimo di opera e di opera lirica. Il melodramma nacque a Firenze verso la fine del XVI secolo a opera di un gruppo di poeti e musicisti noto come “Camerata fiorentina”. Ebbe enorme diffusione in epoca barocca. Nel Settecento il melodramma venne profondamente riformato da Christoph W. Gluck e da W.A. Mozart Nel XIX secolo il melodramma fu quasi l’unico genere musicale coltivato in Italia, Nella seconda metà del secolo il compositore tedesco Richard Wagner espanse enormemente la forma, facendo del melodramma un’”opera d’arte totale”, che fonde musica, mitologia e poesia. La parola “melodramma” è usata anche per indicare un dramma non musicale a forti tinte.
Il Vaudeville è un genere teatrale nato in Francia a fine Settecento. Attualmente, per Vaudeville, si intendono commedie leggere in cui alla prosa vengono alternate strofe cantate su arie conosciute (vaudevilles).
Il Theatre du Vaudeville, primo teatro di gran successo in cui venivano rappresentate i vaudevilles, risale al 1792.
In seguito prese piede anche in Nord America dagli anni '80 dell'Ottocento fino agli anni venti del Novecento, trasformandosi nel moderno spettacolo di Varietà. Con un momento d`oro vissuto a Berlino, tra il 1930 e il 1945 grazie a locali entrati nel mito come il Titania Palast di Berlino, capace di 1900 posti.
La sua popolarità crebbe con lo sviluppo dell'industria e la crescita delle città nel Nord America, e declinò con l'introduzione dei film sonori e della radio.
Il Cabaret è storicamente una forma di spettacolo che combina teatro, canzone, commedia e danza. Nato sul finire del XIX secolo in Francia, il cabaret è una forma di spettacolo intellettuale ed anticonformista. Si differenzia subito dal cafè-chantant, orientato maggiormente verso l'intrattenimento e non la sperimentazione di nuovi linguaggi. È infatti all'interno dei primi cabaret che fioriscono le correnti di dadaismo, prima e, surrealismo, poi, che avrebbero estremamente influenzato tutta l'arte di là da venire.
Farsa Rappresentazione teatrale di carattere comico, che fa uso di toni caricaturali e situazioni stravaganti. Differisce dalla commedia soprattutto per il maggiore risalto dato alla trama, che nella commedia è invece subordinata alla rappresentazione dei caratteri.La farsa non indaga la psicologia si trova tra due tragedie. E un esasperazione della messa in scena tutto quello che e fuori schema fa ridere. termine latino “farcire”
Commedia Componimento teatrale o Opera cinematografica dalle tematiche leggere. La commedia spesso tratta di amori controversi perlopiù a lieto fine.La commedia, nella sua forma scritta, ha origine in Grecia nel VI secolo a.C. Commedia Komos corteo festivo indica come questa forma di drammaturgia sia lo sviluppo in una forma compiuta delle antiche feste onore delle divinità elleniche.La commedia indaga la psicologia dei personaggi.
Tragedia una delle forme più antiche del teatro nasce intorno al VI secolo a.C. nell'Antica Grecia, in onore del dio Dioniso, il quale veniva festeggiato con danze, canti e feste. Il termine tragedia deriva dalla parola tragos, ovvero capro, e oidè, ovvero canto.
Musical (abbreviazione di musical comedy) è un genere di rappresentazione teatrale in cui l'azione viene portata avanti sulla scena non solo dalla recitazione, ma anche dalla musica, dal canto e dalla danza.
Melodramma Genere teatrale in cui i personaggi si esprimono cantando e l’azione scenica è accompagnata dalla musica. Il termine, che deriva dalle parole greche mélos (“canto, melodia”) e drâma (“azione”) è sinonimo di opera e di opera lirica. Il melodramma nacque a Firenze verso la fine del XVI secolo a opera di un gruppo di poeti e musicisti noto come “Camerata fiorentina”. Ebbe enorme diffusione in epoca barocca. Nel Settecento il melodramma venne profondamente riformato da Christoph W. Gluck e da W.A. Mozart Nel XIX secolo il melodramma fu quasi l’unico genere musicale coltivato in Italia, Nella seconda metà del secolo il compositore tedesco Richard Wagner espanse enormemente la forma, facendo del melodramma un’”opera d’arte totale”, che fonde musica, mitologia e poesia. La parola “melodramma” è usata anche per indicare un dramma non musicale a forti tinte.
Il Vaudeville è un genere teatrale nato in Francia a fine Settecento. Attualmente, per Vaudeville, si intendono commedie leggere in cui alla prosa vengono alternate strofe cantate su arie conosciute (vaudevilles).
Il Theatre du Vaudeville, primo teatro di gran successo in cui venivano rappresentate i vaudevilles, risale al 1792.
In seguito prese piede anche in Nord America dagli anni '80 dell'Ottocento fino agli anni venti del Novecento, trasformandosi nel moderno spettacolo di Varietà. Con un momento d`oro vissuto a Berlino, tra il 1930 e il 1945 grazie a locali entrati nel mito come il Titania Palast di Berlino, capace di 1900 posti.
La sua popolarità crebbe con lo sviluppo dell'industria e la crescita delle città nel Nord America, e declinò con l'introduzione dei film sonori e della radio.
Il Cabaret è storicamente una forma di spettacolo che combina teatro, canzone, commedia e danza. Nato sul finire del XIX secolo in Francia, il cabaret è una forma di spettacolo intellettuale ed anticonformista. Si differenzia subito dal cafè-chantant, orientato maggiormente verso l'intrattenimento e non la sperimentazione di nuovi linguaggi. È infatti all'interno dei primi cabaret che fioriscono le correnti di dadaismo, prima e, surrealismo, poi, che avrebbero estremamente influenzato tutta l'arte di là da venire.
Futurismo e Francesco Cangiullo

IL FUTURISMO
Il Futurismo è stata una corrente artistica italiana del XX secolo. Nello stesso periodo, movimenti artistici influenzati dal Futurismo si svilupparono in altri Paesi.
I futuristi esplorarono ogni forma espressiva, dalla pittura alla scultura, dalla letteratura (poesia e teatro), senza tuttavia trascurare la musica, l'architettura, la danza, la fotografia, il nascente cinema e persino la gastronomia.
Anche se si possono osservare segnali di un'imminente rivoluzione artistica nei primissimi anni del secolo - interessanti le analogie che intercorrono fra le dichiarazioni futuristiche dei Manifesti musicali di Francesco Balilla Pratella, Luigi Russolo e Silvio Mix ed il saggio Entwurf einer neuen Ästhetik der Tonkunst (Abbozzo di una nuova estetica della musica, 1907) del compositore italiano, naturalizzato tedesco, Ferruccio Busoni - la denominazione ufficiale del movimento si deve all'iniziatore del medesimo, il poeta italiano Filippo Tommaso Marinetti. Marinetti ne espose i principi-base nel Manifesto del Futurismo (1909), pubblicato inizialmente in vari giornali italiani, la Gazzetta dell'Emilia di Bologna, la Gazzetta di Mantova, L'Arena di Verona e poi sul quotidiano francese Le Figaro il 20 febbraio 1909.
Il Futurismo si colloca sull'onda della rivoluzione tecnologica dei primi anni del '900 (la Belle époque), esaltandone la fiducia illimitata nel progresso e decretando a chiare lettere la fine delle vecchie ideologie (bollate con l'etichetta di "passatismo"). Marinetti, per esempio, esalta il dinamismo, la velocità, l'industria e la guerra intesa come "igiene dei popoli", scorgendo nel Parsifal wagneriano (che proprio in quegli anni cominciava ad essere rappresentato nei teatri d'Europa, dopo la fine del privilegio di rappresentazione detenuto dal teatro di Bayreuth) il simbolo artistico del "passatismo", dell'arte decadente e pedante
Il Futurismo nasce in un periodo (inizio Novecento) di grande fase evolutiva dove tutto il mondo dell'arte e della cultura era stimolato da moltissimi fattori determinanti: le guerre, la trasformazione sociale dei popoli, i grandi cambiamenti politici, e le nuove scoperte tecnologiche e di comunicazione come il telegrafo senza fili, la radio, aeroplani e le prime cineprese; tutti fattori che arrivarono a cambiare completamente la percezione delle distanze e del tempo, "avvicinando" fra loro i continenti. Il XX secolo era quindi invaso da un nuovo vento, che portava all'interno dell'essere umano una nuova realtà: la velocità. Le catene di montaggio abbattevano i tempi di produzione, le automobili aumentavano ogni giorno, le strade iniziarono a riempirsi di luce artificiale, si avvertiva questa nuova sensazione di futuro e velocità sia nel tempo impiegato per produrre o arrivare ad una destinazione, sia nei nuovi spazi che potevano essere percorsi, sia nelle nuove possibilità di comunicazione.
Il primo Futurismo
Il Manifesto di fondazione del movimento futurista fu pubblicato dal poeta ed editore Filippo Tommaso Marinetti per la prima volta il 5 febbraio 1909 nelle Cronache letterarie del quotidiano bolognese La gazzetta dell'Emilia, quindi l'8 febbraio nelle pagine della Gazzetta di Mantova e il 9 febbraio ne L'Arena di Verona.
Il Manifesto futurista fu poi nuovamente pubblicato due settimane dopo, il 20 febbraio 1909, sul parigino Le Figaro, conseguendo così una prestigiosa ribalta internazionale. È comunque doveroso sottolineare che è ormai accertato storicamente che la prestigiosa pubblicazione sul Le Figaro fu merito dei buoni uffizi del maggior azionista del giornale, il miliardario egiziano Mohamed el Rachi che ne ordinò la pubblicazione al direttore Gaston Calmet. L'iniziativa del miliardario era spinta da una storia di amore (finta ed interessata) di Marinetti per Rose Fatine, unica e viziata figlia del miliardario.
Questo manifesto era destinato ad essere il primo di una serie di tanti altri che anticipano e percorrono lungo tutta la strada il pensiero futurista sia nel campo della letteratura, che nelle altre arti.
Anche a Milano i pittori divisionisti Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Giacomo Balla, Gino Severini e Luigi Russolo, firmano il Manifesto tecnico della pittura futurista, che ne stabilisce le regole: abolizione nell'immagine della prospettiva tradizionale (già precedentemente abolita da Picasso), a favore di una visione simultanea per esprimere il dinamismo degli oggetti. Successivamente nel 1910 gli artisti Boccioni, Carrà e Russolo, espongono a Milano le prime opere futuriste alla "Mostra d'arte libera" nella fabbrica Ricordi.
Alla morte di Umberto Boccioni nel 1916, Carrà e Severini si ritrovano in una fase di evoluzione verso la Pittura Cubista, di conseguenza il gruppo milanese si scioglie spostando la città del movimento da Milano a Roma con la conseguente nascita del Secondo Futurismo.
Il Secondo Futurismo
Il secondo Futurismo è sostanzialmente diviso in due fasi, la prima va dal 1918, due anni dopo la morte di Umberto Boccioni, al 1928 ed è caratterizzata da un forte legame con la cultura postcubista e costruttivista, la seconda invece va dal 1929 al 1938 ed è molto più legata alle idee del surrealismo. Di questa corrente, che si conclude attraverso il cosiddetto Terzo Futurismo, portando anche all'epilogo del Futurismo stesso, fanno parte molti pittori fra cui Fillia (Luigi Colombo), Enrico Prampolini, Nicolay Diulgheroff, ma anche Mario Sironi, Ardengo Soffici e Ottone Rosai.
Se la prima fase del Futurismo fu caratterizzata da una ideologia guerrafondaia e fanatica (in pieno contrasto con altre Avanguardie) ma spesso anche anarchica, la seconda stagione ebbe un effettivo legame con il regime fascista, nel senso che abbracciò gli stilemi della comunicazione governativa dell’epoca e si valse di speciali favori.
I futuristi di sinistra, generalmente meno noti nel panorama culturale italiano dell'epoca, comunque, costituirono quella parte del futurismo collocata politicamente su posizioni vicine all'anarchismo e al bolscevismo anche quando il movimento con i suoi fondatori e personaggi ritenuti principali fu fagocitato dal fascismo.
Anche se la gerarchia fascista riservò ai futuristi coevi una sottovalutazione talvolta sprezzante, l'osservazione dei principi autoritaristici e la poetica interventista del Futurismo furono quasi sempre presenti negli artisti del gruppo, fino a che alcuni di questi non abbracciarono altri movimenti e presero le distanze dall'ideologia fascista (Carlo Carrà, ad esempio, abbracciò la metafisica).
Teatro
I futuristi perseguono la rifondazione del concetto stesso di comunicazione teatrale. Essi focalizzano la loro attenzione sulla relazione essenziale che si sviluppa fra testo, attori e pubblico, per recuperare non soltanto i valori di ogni singola componente, bensì anche il senso globale dall'interrelazione fra gli elementi.
Il teatro futurista promuoveva anche la commedia e la farsa, anziché la tragedia o il dramma borghese. Tuttavia, nelle serate futuriste non era inusuale vedere il pubblico adirato a causa di spettacoli fatti di azioni deliranti. Le cronache dell'epoca riportano notizie relative agli attori futuristi che sfuggono all'ira degli spettatori, spesso provocata ad arte secondo gli intenti espressi nel Manifesto futurista del teatro di varietà.
Cinema
Nel 1916 venne pubblicato il Manifesto della Cinematografia futurista, firmato da Marinetti, Corra, Ginna, Balla, Chiti e Settimelli, che sosteneva come il cinema fosse "per natura" arte futurista, grazie alla mancanza di un passato e di tradizioni. Essi non apprezzavano il cinema narrativo "passatissimo", cercando invece un cinema fatto di "viaggi, cacce e guerre", all'insegna di uno spettacolo "antigrazioso, deformatore, impressionista, sintetico, dinamico, parolibero". Nelle loro parole c'è tutto un entusiasmo verso la ricerca di un linguaggio nuovo slegato dalla bellezza tradizionale, che era percepita come un retaggio vecchio e soffocante.
FRANCESCO CANGIULLO
Francesco Cangiullo (Napoli, 1884 - Livorno, 1977) poeta parolibero, scrittore e pittore italiano.
Nell'ambito dell'esperienza della visualizzazione delle parole in libertà futuriste, quella di Francesco Cangiullo, nella seconda metà degli anni dieci e all'inizio dei venti, fra le pagine di Lacerba e quelle di «Vela latina» e de «L'ltalia futurista», e fra «Piedigrotta», del 1916 (ma che data settembre-ottobre 1913), «Caffè-concerto». «Alfabeto a sorpresa», del 1918 (ma che data nel manoscritto 15 gennaio 1915) e «Poesia pentagrammata», del 1923, è una delle più dense d'inventività, nell'indicazione molteplice di soluzioni immaginative di prevalente denominatore grafico, anche ove il composto della scrittura risulti comunque determinante.
E sempre sotto il segno di una sollecitazione ludica che lo imparenta con Balla, con il quale si produce nelle azioni futuriste alla Galleria di Giuseppe Sprovieri, a Roma e a Napoli nel 1914. E del resto, come Balla stesso - con il quale collabora proprio anche sul terreno "paroliberista" nel famoso «Palpavoce» del 1914 - Cangiullo ha realizzato anche vere e proprie «tavole parolibere» pittoriche, sul motivo delle «lettere umanizzate». Altrimenti sulla pagina stampata si muove dalla più ricca reinvenzione, in funzione di pirotecnica narrativa, dell'elemento tipografico, con prelievi anche di mentalità a collage da scritte pubblicitarie (sostanzialmente popolari, in accezione ambientale e antropologica precisa) come in «Piedigrotta» alla deformazione fantastica della scrittura ridotta in immagine al suo inizio alfabetico visualmente teatralizzato, come appunto i nell'«alfabeto a sorpresa» di «Caffè-concerto».
Come pittore e scultore esordisce nel 1914 a Roma nella Esposizione Libera Futurista lnternazionale, sia con dipinti, realizzati assieme a Marinetti, e con questi e con Balla sia con sculture oggettuali. Alla fine degli anni dieci espone tavole d'alfabeto a sorpresa, assieme al fratello minore Pasqualino. Nel 1920 pubblica il manifesto «Il mobilio futurista», «i mobili a sorpresa parlanti e paroliberi». Molto vivo è il suo interesse per il teatro all'inizio degli anni venti. Nel 1921 cura la direzione artistica della Compagnia del Teatro della Sorpresa diretta da Rodolfo De Angelis, e pubblica con Marinetti il manifesto «Il Teatro della Sorpresa». Distaccatosi dal futurismo nel 1924, il suo maggiore contributo è di carattere memorialistico, «Le serate futuriste», pubblicato nel 1930.
Strana figura quella di Francesco Cangiullo. Ricordato sempre marginalmente nel gruppo futurista, ebbe in realtà un ruolo di grande importanza in molte occasioni. Di sicuro il napoletano Cangiullo è uno degli artisti d’avanguardia maggiormente dimenticati. Entrato nel movimento futurista nel 1913, rappresentò l'ala del gruppo dotata di maggiore predisposizione al comico e alla provocazione.
Ciò che sorprende ancora oggi è la poliedricità dei suoi interessi. Fu in grado di scrivere manifesti futuristi fondamentali, di cui tutti ricordano il notissimo Manifesto del teatro della sorpresa (1921, con Marinetti), ma in pochi citano l’originalissimo e geniale Poesia pentagrammata (1922), per non parlare di testi quasi introvabili come Il mobilio futurista. I mobili a sorpresa parlanti e paroliberi (1920) e il Manifesto futurista dell’amicizia in guerra.
La Poesia pentagrammata, dando la simultaneità grafica della Poesia e della sua Musica naturale, in essa naturalmente contenuta, aggiunge una nuova smisurata estensione di tereno vergine al campo poetico.
Tra i testi di altro tipo Piedigrotta costituisce, per alcune innovazioni sorprendenti apportate all’interno dell’impostazione parolibera, uno dei prodotti più importanti dell’intero futurismo. Lo stesso Marinetti lo spedì al gruppo Dada di Zurigo, che tennero sempre in enorme stima Cangiullo. Hugo Ball e Tristan Tzara esposero alcune pagine di Piedigrotta al Cabaret Voltaire.
Eduardo De Filippo
EDUARDO DE FILIPPO
Eduardo De Filippo, noto semplicemente come Eduardo[1] (Napoli, 24 maggio 1900 – Roma, 31 ottobre 1984), è stato un attore teatrale, commediografo, regista teatrale e cinematografico italiano, fra i massimi esponenti della cultura italiana del Novecento. Senatore a vita della Repubblica e cavaliere di gran croce.
Figlio illegittimo dell'attore e commediografo Eduardo Scarpetta e di Luisa De Filippo (sarta teatrale), Eduardo nasce a Napoli nel quartiere Chiaia, (secondo alcuni in via dell'Ascensione n. 3[2], per altri in via Giovanni Bausan n. 15[3]). A soli quattro anni è condotto per la prima volta su un palcoscenico, portato in braccio da un attore della compagnia di Scarpetta, Gennaro Della Rossa, in occasione di una rappresentazione dell'operetta La Geisha, al Teatro Valle di Roma.
Cresce nell'ambiente teatrale napoletano insieme ai fratelli Titina, la maggiore, che aveva già agli inizi degli anni '10 un suo posto nella compagnia di Vincenzo Scarpetta (uno dei figli legittimi di Scarpetta) e Peppino, il più piccolo che assieme ad Eduardo di tanto in tanto viene convocato per qualche apparizione in palcoscenico.
Nel 1912 i De Filippo vanno ad abitare in via dei Mille, e sia Eduardo che Peppino vengono mandati a studiare al Collegio Chierchia, a Foria; qui, tra tentativi di fughe ed insofferenze varie, il piccolo Eduardo inizia a dilettarsi nella scrittura, producendo la sua prima poesia, con versi scherzosi dedicati alla moglie del direttore del collegio. Rientrato a casa, parte per Roma in cerca di indipendenza economica, ospite di una zia ed in cerca di qualche lavoretto nell'ambiente cinematografico, ma senza successo. Tornato a Napoli si cimenta nelle sue prime prove d'attore: prima recita nella rivista di Rocco Galdieri, poi nella compagnia di Enrico Altieri, quindi in altre compagnie come la Urciuoli-De Crescenzo e la Compagnia Italiana. Ed è così che, tra un teatro e l'altro (San Ferdinando, Orfeo, Trianon) conosce Totò, che sarebbe diventato un suo grande amico.
Nel 1914 Eduardo entra stabilmente nella compagnia di Vincenzo Scarpetta, raggiungendo così la sorella Titina; tre anni dopo, con l'ingresso nella compagnia di Peppino, i tre fratelli si ritrovano a recitare insieme. Alla fine della guerra, Eduardo presta servizio di leva nei Bersaglieri (II Reggimento, di stanza a Trastevere) ed è incaricato dal comando di organizzare piccole recite per i soldati, di cui è anche autore oltre che attore e direttore di compagnia. Durante questo periodo matura sempre di più la voglia e la capacità di essere anche autore e regista oltre che attore, giungendo a scrivere nel 1920 la sua «prima commedia vera e propria»[4], Farmacia di turno, atto unico dal finale amaro rappresentato l'anno successivo dalla compagnia di Vincenzo Scarpetta.
Dal fratellastro, Eduardo eredita, tra l'altro, anche quella severità e quel rigore che lo caratterizzeranno per tutta la vita sul lavoro e nei rapporti con gli altri, caratteristiche sovente enfatizzate da una sorta di leggenda ma che hanno senza dubbio un fondo di verità. Vincenzo Scarpetta propone in quell'epoca un repertorio essenzialmente basato sulle commedie del celebre padre oltre a ad altre commedie, a spettacoli di rivista e a sparute incursioni nel cinema, riscuotendo un buon successo di critica e di pubblico.
Nel 1922 scrive Ho fatto il guaio? Riparerò! che va in scena al Teatro Fiorentini quattro anni dopo e che prende in seguito il titolo definitivo di Uomo e galantuomo; in questa commedia, tra le più comiche del repertorio eduardiano, l'autore introduce del temi che saranno una costante in numerose opere successive, come la pazzia (vera o presunta) e il tradimento, con un vago sentore pirandelliano che riporta al Ciampa de Il berretto a sonagli, seppur seguendo nella struttura del testo, il modello scarpettiano della farsa tradizionale. Curiosa la citazione che Eduardo inserisce nella commedia, quasi a mo' di rivalsa, del lavoro di Libero Bovio Mala nova e che il drammaturgo e poeta napoletano non gradì.
Il rilievo che Eduardo acquisisce nella compagnia di Scarpetta è già notevole, nonostante la giovane età; ciò lo porta anche a maturare, specie nelle stagioni teatrali estive, esperienze diverse come le recite con i cosiddetti "seratanti" nel 1921 o come la messa in scena di Surriento gentile, idillio musicale di Enzo Lucio Murolo opera per la quale Eduardo cura, per la prima volta nella sua lunga carriera, la regia (16 settembre 1922).
Dopo la morte di Eduardo Scarpetta (29 novembre 1925), Eduardo va a convivere con una giovane di nome Ninì, per la quale compone alcune poesie d'amore (tra cui E mmargarite, la più antica tra quelle in seguito pubblicate[5]); viene raggiunto quindi dal fratello Peppino, che nel frattempo ha recitato senza alcun positivo riscontro economico, con la Compagnia Urciuoli, e che forse spera di poter anch'egli essere scritturato da Scarpetta. Ma Eduardo decide di tentare l'avventura del teatro in lingua e si fa scritturare nella compagnia di Luigi Carini come attore "brillante" convincendo l'impresario a prendere anche Peppino. Ma Peppino ci ripensa per entrare nella Compagnia Vincenzo Scarpetta come sostituto del fratello. La parentesi dura poco ed Eduardo rientra nei ranghi, scrivendo nel 1926 Requie a l'anema soja (poi diventata I morti non fanno paura) in cui recita vestito da "vecchio"; così dirà, molti anni dopo in un'intervista: «Non vedevo l'ora di diventare vecchio: così, pensavo, non avrò più bisogno di truccarmi. E poi, se faccio il vecchio da adesso, lo posso portare avanti. Se invece mi metto a fare il giovane, presto diranno: "È invecchiato!"[6]». Il tema della pazzia, stavolta vera e non presunta, torna prepotentemente nella commedia successiva, dal titolo emblematico di Ditegli sempre di sì che la compagnia di Scarpetta rappresenterà per la prima volta nel 1927.
Al termine della stagione teatrale del 1927, Eduardo tenta un esperimento "in proprio", mettendo su una sorta di cooperativa d'attori senza produttore nè finanziatore diretti, e per la quale chiama i fratelli Peppino e Titina a recitare in un sodalizio artistico con Michele Galdieri (amico di Eduardo e figlio del poeta Rocco); nasce così la Compagnia Galdieri-De Filippo, di cui Eduardo è il direttore, che debutta con successo al Fiorentini di Napoli il 27 luglio con lo spettacolo dal titolo scaramantico La rivista ...che non piacerà.
In quel periodo Eduardo conosce Dorothy Pennington ("Dodò"), un'americana di Philadelphia di cui si innamora, nonostante l'avversione della famiglia di lei, e che sposa a Roma con il rito evangelico il 12 dicembre 1928. Intanto proseguono i tentativi di mettersi in proprio assieme ai fratelli e ancora come attore, autore e capocomico lavora nella De Filippo - Comica Compagnia Napoletana d'Arte Moderna. Sempre nel 1928 scrive l'atto unico Filosoficamente, che propone una sorta di ritratto della rassegnazione di un piccolo borghese; il testo però è il solo dell'autore napoletano a non essere mai stato portato sulla scena.
Nel 1929, usando degli pseudonimi (R. Maffei, G. Renzi e H. Retti), Eduardo e Peppino mettono in scena lo spettacolo comico Prova generale. Tre modi di far ridere, lavoro in tre atti con prologo ed epilogo di Galdieri, rappresentato al Fiorentini. Numerose saranno negli anni a venire, le volte in cui Eduardo si firmerà, come autore teatrale con vari pseudonimi (tra i più noti, Tricot, Molise, C. Consul); ciò al fine di superare le difficoltà che aveva in quegli anni a farsi riconoscere dagli impresari i suoi diritti d'autore.
Ma ben presto, Eduardo, Peppino e Titina vengono chiamati dall'impresario della Compagnia Molinari, appena privatasi dell'apporto di Totò che vi aveva recitato, a costituire una ditta autonoma all'interno della compagnia stessa, la Ribalta Gaia, assieme a Pietro Carloni, Carlo Pisacane, Agostino Salvietti, Tina Pica e Giovanni Bernardi. I tre ottennero un buon successo nella rivista Pulcinella principe in sogno.... Ed è all'interno dello spettacolo che viene inserita, come sketch, Sik-Sik, l'artefice magico, tra le commedie più riuscite del periodo giovanile eduardiano, rappresentata al Teatro Nuovo nel 1929[7] (secondo alcuni nel 1930[8]). Lo spettacolo, che narra con ilarità malinconica i risvolti amari della vita di un artista tormentato, povero e anche un po' filosofo, ottiene a Napoli un clamoroso successo di critica e di pubblico che viene in parte a mancare nella successiva rappresentazione estiva a Palermo, dove Titina, inadatta al ruolo per lei non consono di soubrette, viene fischiata.
Eduardo è lanciato verso il successo e, collabora anche agli altri copioni della Compagnia Molinari, come autore (con Mario Mangini in Follia dei brillanti e La terra non gira, con Carlo Mauro in La signora al balcone, con Mangini e Mauro in C'era una volta Napoli, Le follie della città, E' arrivato 'o trentuno, S'è 'nfuocato o sole!, Cento di questi giorni e Vezzi e riso).
Il Teatro Umoristico "I De Filippo" [modifica]
Dal 1931 finalmente il sogno dei tre fratelli d'arte di recitare assieme in una compagnia tutta loro diventa realtà. Eduardo fonda, raccogliendo l'adesione dei fratelli, la compagnia del Teatro Umoristico "I De Filippo", che debutta con successo a Roma. Dopo alcune recite a Milano, la compagnia è a Napoli al Teatro Kursaal (poi Filangieri) dove rappresentano O chiavino di Carlo Mauro, Sik-Sik e per la prima volta la commedia scritta da Peppino Don Rafele 'o trumbone. Vanno quindi in scena l'adattamento L'ultimo Bottone (di Munos Seca e Garcia Alvarez) e una nuova commedia scritta da Eduardo dal titolo Quei figuri di trent'anni fa (titolo originario mutato per la censura, La bisca). Gli ultimi giorni dell'estate i De Filippo sono a Montecatini dove presentano alcuni sketch assieme alla soubrette emergente Ellen Meis, senza riscuotere particolare successo, prima di tornare a recitare per l'ultima volta con la Molinari. Il 1931 è anche l'anno in cui Eduardo presenta, sotto lo pseudonimo di Tricot, Ogni anno punto e da capo, in occasione di una serata della festa di Piedigrotta dedicata alla canzone al Teatro Reale, la cui prima rappresentazione avviene al Teatro Nuovo, all'interno dello spettacolo di rivista Cento di questi giorni, in occasione di una serata in onore del fratello Peppino. La scatenata verve comica dei tre fratelli risaliva alle forme farsesche dell'antica commedia dell'Arte, che Eduardo conosceva bene avendola studiata e non condividendone la visione che gli studiosi avevano di essa: si dimostrò, infatti, critico verso l'agiografia degli attori che ne veniva fatta.
Natale in casa Cupiello
La commedia forse più nota di Eduardo, Natale in casa Cupiello, portata in scena per la prima volta al Teatro Kursaal di Napoli, il 25 dicembre 1931, segna di fatto l'avvio vero e proprio della felice esperienza della Compagnia del "Teatro Umoristico I De Filippo", composta dai tre fratelli e da attori già famosi o giovani alle prime armi che lo diventeranno (Agostino Salvietti, Pietro Carloni, Tina Pica, Dolores Palumbo, Luigi De Martino, Alfredo Crispo, Gennaro Pisano). A giugno Eduardo aveva firmato un contratto con l'impresario teatrale che lo impegnava per soli nove giorni di recite per presentare il suo nuovo atto unico subito dopo la proiezione di un film. Il successo della commedia fu tale che la durata del contratto fu prolungata sino al 21 maggio 1932. Nata come atto unico (l'odierno 2°), Eduardo aggiunse alla commedia altri due atti, quello di apertura (nel 1932 o 1933) e quello conclusivo, dalla cronologia piuttosto controversa (per alcuni fu scritto nel 1934[9], secondo altri addirittura nel 1943, secondo un'ipotesi più probabile ed avallata più tardi anche dallo stesso autore[10] che però definirà anche più tardi la commedia come «parto trigemino con una gravidanza durata quattro anni»). Nel Natale eduardiano tutto ruota attorno ad un pranzo natalizio che viene scosso da un dramma della gelosia. Sullo sfondo, il ritratto tragicomico del protagonista, Luca Cupiello, figura ingenua di un vecchio con comportamenti fanciulleschi ed immerso nelle sue fantasie e nel suo amore per il presepe, cui si dedica con passione, apparentemente incurante delle tragiche vicende familiari che gli ruotano attorno. Aspetti autobiografici sono rilevabili nella commedia, sebbene mai confermati dall'autore: i nomi dei protagonisti, Luca e Concetta, sono i medesimi infatti dei nonni di Eduardo.
L'avanspettacolo
Il prolungamento del contratto al Kursaal costringe la compagnia ad un superlavoro, dovendo cambiare spettacolo in cartellone praticamente ogni settimana, come consuetudine in quegli anni di avanspettacolo, dove si recitava subito dopo la proiezione di un film. Numerosi sono i lavori portati in scena: oltre a Natale in casa Cupiello, la compagnia proponeva sovente Sik-Sik, Quei figuri di trent'anni fa oppure commedie in collaborazione con Maria Scarpetta, sorellastra di Eduardo, come Parlate al portiere, Una bella trovata, Noi siamo navigatori, Il thè delle cinque, Cuoco della mala cucina. Curioso è l'episodio della parodia di Cavalleria rusticana che la compagnia portava in scena e che turbò Pietro Mascagni al punto da farne bloccare le repliche. Nell'estate del 1932, la compagnia si trasferisce al cinema-teatro Reale mietendo un buon successo di pubblico e di critica; i tre fratelli vengono ormai chiamati semplicemente con il loro nome di battesimo, Eduardo, Peppino e Titina.
Eduardo inizia a sentire il bisogno di abbandonare il "provincialismo" napoletano della compagnia e, anche spinto da benevoli spunti della critica decide che è giunto il momento per la sua compagnia di operare il decisivo salto di qualità per iniziare a calcare i più prestigiosi teatri italiani. Fu decisivo in tal senso l'incontro casuale con Luigi Pirandello, che ebbe come conseguenze una grande interpretazione dell'opera Berretto a sonagli nei panni di Ciampa (1936) , la messa in scena di Liolà e la scrittura della commedia L'abito nuovo. [11].
Il 20 dicembre 1944 recitò per l'ultima volta, al teatro Diana di Napoli, accanto a Peppino, con il quale esplose il diverbio finale[12]: quindi fondò la nuova compagnia teatrale che si chiamò semplicemente "Il Teatro di Eduardo".
La ricostruzione del Teatro San Ferdinando
Nel 1948 egli acquistò il semidistrutto Teatro San Ferdinando di Napoli, investendo tutti i suoi guadagni nella ricostruzione di un antico teatro ricco di storia, mentre Napoli viveva una triste stagione all'insegna della più assurda speculazione edilizia. Il San Ferdinando fu inaugurato il 22 gennaio 1954 con l'opera Palummella zompa e vola. Eduardo cercò di salvaguardare la facciata settecentesca dello stabile realizzando all'interno un teatro tecnicamente all'avanguardia per farne una "casa" per l'attore e per il pubblico. Al San Ferdinando interpretò le sue opere, ma mise in scena anche testi di autori napoletani per recuperare la tradizione e farne un "trampolino" per un nuovo Teatro.
Adottò il parlato popolare, conferendo in questo modo al dialetto napoletano la dignità di lingua ufficiale, ma elaborò una lingua teatrale che travalicò napoletano ed italiano per diventare una lingua universale. Non vi è dubbio che l'azione e l'opera di Eduardo De Filippo siano state decisive affinché il "teatro dialettale", precedentemente giudicato di second'ordine dai critici, fosse finalmente considerato un "teatro d'arte".
Tra le opere più significative di questo periodo meritano una citazione particolare Napoli milionaria! (1945), Questi fantasmi! e Filumena Marturano[13] (entrambi del 1946), Mia famiglia (1953), Bene mio e core mio (1956), De Pretore Vincenzo (1957), Sabato, domenica e lunedì (1959) scritto apposta per l'attrice Pupella Maggio nei panni della protagonista.
L'impegno politico
Eduardo non abbandonò mai il suo impegno politico e sociale che lo vide in prima linea anche ad ottant'anni quando, nominato senatore a vita[14] lottò in Senato e sul palcoscenico per i minori rinchiusi negli istituti di pena. Nel 1962 partì per una lunga tournée in Unione Sovietica, Polonia ed Ungheria dove poté toccare con mano la grande ammirazione che pubblico ed intellettuali avevano per lui.
Tradotto e rappresentato in tutto il mondo, combatté negli anni sessanta per la creazione a Napoli di un teatro stabile. Continuò ad avere successo e nel 1963 gli venne conferito il "Premio Feltrinelli" per la rappresentazione Il sindaco del rione Sanità (da cui nel 1997 sarà tratto un film interpretato da Anthony Quinn).
Del 1973 è Gli esami non finiscono mai, allestito con successo per la prima volta a Roma: tale commedia gli permise di vincere il "premio Pirandello" per il teatro l'anno successivo. Dopo aver ricevuto due lauree honoris causa (prima a Birmingham nel 1977 e poi a Roma nel 1980) nel 1981 fu nominato senatore a vita e aderì al gruppo della Sinistra Indipendente.
Quando morì, la camera ardente venne allestita al Senato e dopo le solenni esequie trasmesse in diretta televisiva e il commosso saluto di oltre trentamila persone fu sepolto al cimitero del Verano.
Nel teatro italiano, la lezione di Eduardo resta imprescindibile non solo per quanto concerne la contemporanea drammaturgia napoletana (Annibale Ruccello ed Enzo Moscato) e tutta quella fascia di "spettacolarità" tra cinema-teatro-televisione che ha riconosciuto in Massimo Troisi il proprio campione; ma tracce dell'influenza di Eduardo si riconoscono anche in Dario Fo ed in tutta una serie di giovani "attautori" come Ascanio Celestini (soprattutto in merito al linguaggio) o di personalità sconosciute al grande pubblico che lavorano nell'ambito della "ricerca" (si ricordi ad esempio Gaetano Ventriglia).
Il cinema
Dal 1932 Eduardo De Filippo entrò prepotentemente anche nel mondo del grande schermo, sia come attore che come regista (ed occasionalmente anche come sceneggiatore): il suo esordio sul set avvenne con Il cappello a tre punte di Mario Camerini (1934), mentre la sua prima regia fu In campagna è caduta una stella del 1940, di cui fu anche interprete.
Amico e collaboratore di Vittorio De Sica, per Vittorio egli inventò alcuni personaggi divertenti in alcune pellicole (Tempi nostri e L'oro di Napoli) e curò la sceneggiatura di Matrimonio all'italiana (1964), remake di Filumena Marturano, film diretto da Eduardo nel 1951 con lui e la sorella Titina protagonisti. Nel 1950 diresse e interpretò con Totò Napoli milionaria!.
Dopo la regia di Spara forte, più forte... non capisco! del 1966 Eduardo abbandonò il cinema per dedicarsi alla TV, per la quale ripropose le sue commedie per tutto il decennio successivo e, nel 1984, l'anno della sua morte, interpretò il suo ultimo ruolo: il vecchio maestro nello sceneggiato Cuore, diretto da Luigi Comencini e tratto dal libro di Edmondo De Amicis.
Vita privata
La vita privata di Eduardo, frenetica e confusa nel periodo pre-bellico, trovò invece pace e serenità negli anni della vecchiaia.
Tre sono state le donne importanti e straordinarie nella sua vita: Dorothy Pennington (una giovane e colta americana che sposò nel 1928; il matrimonio fu annullato nel 1952 con sentenza del tribunale della Repubblica di San Marino, poi convalidata anche da quello di Napoli nel 1955)[15], Thea Prandi (madre dei suoi figli Luisa e Luca, sposata il 2 gennaio 1956) e, infine, Isabella Quarantotti, scrittrice e sceneggiatrice che sposò nel 1977.
Nel corso di pochi anni sopportò gravi lutti familiari: prima la morte della figlia Luisella, nel 1960, poi quella della moglie (da cui si era peraltro separato l'anno prima), nel 1961,[16]ed infine l'addio alle scene (1953) e la morte (1963) di Titina, la sorella da sempre "ago della bilancia" tra le forti personalità di Eduardo e quella di Peppino. Il 4 marzo 1974, in seguito a un malore durante una rappresentazione scenica, gli fu applicato un pacemaker; tuttavia il 27 marzo era di nuovo sul palcoscenico.
Teatro
Farmacia di turno (1920)
Uomo e galantuomo (1922)
Requie a l'anema soja... / I morti non fanno paura (1926)
Ditegli sempre di sì (1927)
Filosoficamente (1928)
Sik-Sik, l'artefice magico (1929)
Chi è cchiu' felice 'e me! (1929)
Quei figuri di trent'anni fa (1929)
Ogni anno punto e da capo (1931)
È arrivato 'o trentuno (1931)
Natale in casa Cupiello (1931)
Gennareniello (1932)
La voce del padrone / Il successo del giorno (1932)
Tre mesi dopo (1934)
Sintetici a qualunque costo
Quinto piano, ti saluto! (1934)
Uno coi capelli bianchi (1935)
L'abito nuovo (1936)
Occhio alle ragazze!
Pericolosamente / San Carlino (1938)
La parte di Amleto (1940)
Non ti pago (1940)
Io, l'erede (1942)
Sue piccole mani
Napoli milionaria! (1945)
Occhiali neri (1945)
Questi fantasmi! (1946)
Filumena Marturano (1946)
Le bugie con le gambe lunghe (1947)
La grande magia (1948)
Le voci di dentro (1948)
La paura numero uno (1950)
Amicizia (1952)
Mia famiglia (1955)
Bene mio e core mio (1955)
De Pretore Vincenzo (1957)
Il figlio di Pulcinella (1957)
Sabato, domenica e lunedì (1959)
Il sindaco del rione Sanità (1960)
Tommaso d'Amalfi (1962)
L'arte della commedia (1964)
Dolore sotto chiave (1964)
Il cilindro (1965)
Il contratto (1967)
Il monumento (1970)
Gli esami non finiscono mai (1973)
Cinema (attore)
Tre uomini in frack (1932)
Il cappello a tre punte (1934)
Quei due (1935)
Sono stato io (1937)
L'amor mio non muore (1938)
Il Marchese di Ruvolito (1939)
In campagna è caduta una stella (1939)
Il sogno di tutti (1941)
A che servono questi quattrini (1942)
Non ti pago! (1942)
Il fidanzato di mia moglie (1943)
Non mi muovo! (1943)
La vita ricomincia (1945)
Uno tra la folla (1946) di Ennio Cerlesi
Assunta Spina (1948) di Mario Mattoli con Anna Magnani
Campane a martello (1949)
Filumena Marturano (1951)
Cameriera bella presenza offresi (1951) di Giorgio Pastina
Cinque poveri in automobile (1952)
Le ragazze di Piazza di Spagna (1952)
Traviata '53 (1953)
Villa Borghese (1953)
L'oro di Napoli (1954)
Tempi nostri (1954) film a episodi, regia di Alessandro Blasetti
Cortile(1955)
Fortunella (1958)
Vento di passioni (1958) Regia di Richard Wilson
Ferdinando I, re di Napoli (1959)
Tutti a casa (1960)
Fantasmi a Roma (1960)
Cinema (regista)
In campagna è caduta una stella (1939)
Ti conosco, mascherina! (1944)
Napoli milionaria (1950)
Filumena Marturano (1951)
Marito e moglie (1952)
Ragazze da marito (1952)
I sette peccati capitali (1952), (episodio Avarizia e ira)
Napoletani a Milano (1953)
Questi fantasmi (1954)
Fortunella (1958)
Sogno di una notte di mezza sbornia (1959)
Oggi, domani, dopodomani (1965)
Spara forte, più forte... non capisco! (1966)
Televisione
Teatro in diretta (1955-56)
Miseria e nobiltà
Non ti pago!
Questi fantasmi
Sei telefilm da sei atti unici (1956)
Il dono di natale
Quei figuri di tanti anni fa
I morti non fanno paura
San Carlino 1900... e tanti
Amicizia
La chiave di casa
Teatro in diretta (1959)
Tre calzoni fortunati
La fortuna con l'effe maiuscola
Il medico dei pazzi
Il teatro di Eduardo. Primo ciclo (1962)
Tipi e figure
Poesie
L'avvocato ha fretta
Sik-Sik
Ditegli sempre di sì
Natale in casa Cupiello
Napoli milionaria
Questi fantasmi!
Filumena Marturano
Le voci di dentro
Sabato, domenica e lunedì
Un teleromanzo (1963)
Peppino Girella (originale televisivo in sei puntate)
Il teatro di Eduardo. Secondo ciclo (1964)
Chi è più felice di me?
L'abito nuovo
Non ti pago!
La grande magia
La paura numero uno
Bene mio core mio
Mia famiglia
Il sindaco del rione Sanità
Il ciclo scarpettiano (1975)
Lu curaggio de nu pompiere napulitano
Li nepute de lu sinneco
Na santarella
'O tuono 'e marzo
Il teatro di Eduardo. Terzo ciclo (1975-1976)
Uomo e galantuomo
De Pretore Vincenzo
L'arte della commedia
Gli esami non finiscono mai
Il teatro di Eduardo. Quarto ciclo (1977-1981)
Natale in casa Cupiello (1977)
Il cilindro (1978)
Gennareniello (1978)
Quei figuri di tanti anni fa (1978)
Le voci di dentro (1978)
Il sindaco del rione Sanità (1979)
Il contratto (1981)
Il berretto a sonagli (1981)
Serata d'onore (1978)
Lieta serata insieme a Eduardo e ai suoi compagni d'arte
Lirica in TV (1959, 1977, 1984)
La pietra del paragone (1959)
Napoli milionaria! (1977)
La pietra del paragone (1984)
Cuore (1984)
Eduardo De Filippo, noto semplicemente come Eduardo[1] (Napoli, 24 maggio 1900 – Roma, 31 ottobre 1984), è stato un attore teatrale, commediografo, regista teatrale e cinematografico italiano, fra i massimi esponenti della cultura italiana del Novecento. Senatore a vita della Repubblica e cavaliere di gran croce.
Figlio illegittimo dell'attore e commediografo Eduardo Scarpetta e di Luisa De Filippo (sarta teatrale), Eduardo nasce a Napoli nel quartiere Chiaia, (secondo alcuni in via dell'Ascensione n. 3[2], per altri in via Giovanni Bausan n. 15[3]). A soli quattro anni è condotto per la prima volta su un palcoscenico, portato in braccio da un attore della compagnia di Scarpetta, Gennaro Della Rossa, in occasione di una rappresentazione dell'operetta La Geisha, al Teatro Valle di Roma.
Cresce nell'ambiente teatrale napoletano insieme ai fratelli Titina, la maggiore, che aveva già agli inizi degli anni '10 un suo posto nella compagnia di Vincenzo Scarpetta (uno dei figli legittimi di Scarpetta) e Peppino, il più piccolo che assieme ad Eduardo di tanto in tanto viene convocato per qualche apparizione in palcoscenico.
Nel 1912 i De Filippo vanno ad abitare in via dei Mille, e sia Eduardo che Peppino vengono mandati a studiare al Collegio Chierchia, a Foria; qui, tra tentativi di fughe ed insofferenze varie, il piccolo Eduardo inizia a dilettarsi nella scrittura, producendo la sua prima poesia, con versi scherzosi dedicati alla moglie del direttore del collegio. Rientrato a casa, parte per Roma in cerca di indipendenza economica, ospite di una zia ed in cerca di qualche lavoretto nell'ambiente cinematografico, ma senza successo. Tornato a Napoli si cimenta nelle sue prime prove d'attore: prima recita nella rivista di Rocco Galdieri, poi nella compagnia di Enrico Altieri, quindi in altre compagnie come la Urciuoli-De Crescenzo e la Compagnia Italiana. Ed è così che, tra un teatro e l'altro (San Ferdinando, Orfeo, Trianon) conosce Totò, che sarebbe diventato un suo grande amico.
Nel 1914 Eduardo entra stabilmente nella compagnia di Vincenzo Scarpetta, raggiungendo così la sorella Titina; tre anni dopo, con l'ingresso nella compagnia di Peppino, i tre fratelli si ritrovano a recitare insieme. Alla fine della guerra, Eduardo presta servizio di leva nei Bersaglieri (II Reggimento, di stanza a Trastevere) ed è incaricato dal comando di organizzare piccole recite per i soldati, di cui è anche autore oltre che attore e direttore di compagnia. Durante questo periodo matura sempre di più la voglia e la capacità di essere anche autore e regista oltre che attore, giungendo a scrivere nel 1920 la sua «prima commedia vera e propria»[4], Farmacia di turno, atto unico dal finale amaro rappresentato l'anno successivo dalla compagnia di Vincenzo Scarpetta.
Dal fratellastro, Eduardo eredita, tra l'altro, anche quella severità e quel rigore che lo caratterizzeranno per tutta la vita sul lavoro e nei rapporti con gli altri, caratteristiche sovente enfatizzate da una sorta di leggenda ma che hanno senza dubbio un fondo di verità. Vincenzo Scarpetta propone in quell'epoca un repertorio essenzialmente basato sulle commedie del celebre padre oltre a ad altre commedie, a spettacoli di rivista e a sparute incursioni nel cinema, riscuotendo un buon successo di critica e di pubblico.
Nel 1922 scrive Ho fatto il guaio? Riparerò! che va in scena al Teatro Fiorentini quattro anni dopo e che prende in seguito il titolo definitivo di Uomo e galantuomo; in questa commedia, tra le più comiche del repertorio eduardiano, l'autore introduce del temi che saranno una costante in numerose opere successive, come la pazzia (vera o presunta) e il tradimento, con un vago sentore pirandelliano che riporta al Ciampa de Il berretto a sonagli, seppur seguendo nella struttura del testo, il modello scarpettiano della farsa tradizionale. Curiosa la citazione che Eduardo inserisce nella commedia, quasi a mo' di rivalsa, del lavoro di Libero Bovio Mala nova e che il drammaturgo e poeta napoletano non gradì.
Il rilievo che Eduardo acquisisce nella compagnia di Scarpetta è già notevole, nonostante la giovane età; ciò lo porta anche a maturare, specie nelle stagioni teatrali estive, esperienze diverse come le recite con i cosiddetti "seratanti" nel 1921 o come la messa in scena di Surriento gentile, idillio musicale di Enzo Lucio Murolo opera per la quale Eduardo cura, per la prima volta nella sua lunga carriera, la regia (16 settembre 1922).
Dopo la morte di Eduardo Scarpetta (29 novembre 1925), Eduardo va a convivere con una giovane di nome Ninì, per la quale compone alcune poesie d'amore (tra cui E mmargarite, la più antica tra quelle in seguito pubblicate[5]); viene raggiunto quindi dal fratello Peppino, che nel frattempo ha recitato senza alcun positivo riscontro economico, con la Compagnia Urciuoli, e che forse spera di poter anch'egli essere scritturato da Scarpetta. Ma Eduardo decide di tentare l'avventura del teatro in lingua e si fa scritturare nella compagnia di Luigi Carini come attore "brillante" convincendo l'impresario a prendere anche Peppino. Ma Peppino ci ripensa per entrare nella Compagnia Vincenzo Scarpetta come sostituto del fratello. La parentesi dura poco ed Eduardo rientra nei ranghi, scrivendo nel 1926 Requie a l'anema soja (poi diventata I morti non fanno paura) in cui recita vestito da "vecchio"; così dirà, molti anni dopo in un'intervista: «Non vedevo l'ora di diventare vecchio: così, pensavo, non avrò più bisogno di truccarmi. E poi, se faccio il vecchio da adesso, lo posso portare avanti. Se invece mi metto a fare il giovane, presto diranno: "È invecchiato!"[6]». Il tema della pazzia, stavolta vera e non presunta, torna prepotentemente nella commedia successiva, dal titolo emblematico di Ditegli sempre di sì che la compagnia di Scarpetta rappresenterà per la prima volta nel 1927.
Al termine della stagione teatrale del 1927, Eduardo tenta un esperimento "in proprio", mettendo su una sorta di cooperativa d'attori senza produttore nè finanziatore diretti, e per la quale chiama i fratelli Peppino e Titina a recitare in un sodalizio artistico con Michele Galdieri (amico di Eduardo e figlio del poeta Rocco); nasce così la Compagnia Galdieri-De Filippo, di cui Eduardo è il direttore, che debutta con successo al Fiorentini di Napoli il 27 luglio con lo spettacolo dal titolo scaramantico La rivista ...che non piacerà.
In quel periodo Eduardo conosce Dorothy Pennington ("Dodò"), un'americana di Philadelphia di cui si innamora, nonostante l'avversione della famiglia di lei, e che sposa a Roma con il rito evangelico il 12 dicembre 1928. Intanto proseguono i tentativi di mettersi in proprio assieme ai fratelli e ancora come attore, autore e capocomico lavora nella De Filippo - Comica Compagnia Napoletana d'Arte Moderna. Sempre nel 1928 scrive l'atto unico Filosoficamente, che propone una sorta di ritratto della rassegnazione di un piccolo borghese; il testo però è il solo dell'autore napoletano a non essere mai stato portato sulla scena.
Nel 1929, usando degli pseudonimi (R. Maffei, G. Renzi e H. Retti), Eduardo e Peppino mettono in scena lo spettacolo comico Prova generale. Tre modi di far ridere, lavoro in tre atti con prologo ed epilogo di Galdieri, rappresentato al Fiorentini. Numerose saranno negli anni a venire, le volte in cui Eduardo si firmerà, come autore teatrale con vari pseudonimi (tra i più noti, Tricot, Molise, C. Consul); ciò al fine di superare le difficoltà che aveva in quegli anni a farsi riconoscere dagli impresari i suoi diritti d'autore.
Ma ben presto, Eduardo, Peppino e Titina vengono chiamati dall'impresario della Compagnia Molinari, appena privatasi dell'apporto di Totò che vi aveva recitato, a costituire una ditta autonoma all'interno della compagnia stessa, la Ribalta Gaia, assieme a Pietro Carloni, Carlo Pisacane, Agostino Salvietti, Tina Pica e Giovanni Bernardi. I tre ottennero un buon successo nella rivista Pulcinella principe in sogno.... Ed è all'interno dello spettacolo che viene inserita, come sketch, Sik-Sik, l'artefice magico, tra le commedie più riuscite del periodo giovanile eduardiano, rappresentata al Teatro Nuovo nel 1929[7] (secondo alcuni nel 1930[8]). Lo spettacolo, che narra con ilarità malinconica i risvolti amari della vita di un artista tormentato, povero e anche un po' filosofo, ottiene a Napoli un clamoroso successo di critica e di pubblico che viene in parte a mancare nella successiva rappresentazione estiva a Palermo, dove Titina, inadatta al ruolo per lei non consono di soubrette, viene fischiata.
Eduardo è lanciato verso il successo e, collabora anche agli altri copioni della Compagnia Molinari, come autore (con Mario Mangini in Follia dei brillanti e La terra non gira, con Carlo Mauro in La signora al balcone, con Mangini e Mauro in C'era una volta Napoli, Le follie della città, E' arrivato 'o trentuno, S'è 'nfuocato o sole!, Cento di questi giorni e Vezzi e riso).
Il Teatro Umoristico "I De Filippo" [modifica]
Dal 1931 finalmente il sogno dei tre fratelli d'arte di recitare assieme in una compagnia tutta loro diventa realtà. Eduardo fonda, raccogliendo l'adesione dei fratelli, la compagnia del Teatro Umoristico "I De Filippo", che debutta con successo a Roma. Dopo alcune recite a Milano, la compagnia è a Napoli al Teatro Kursaal (poi Filangieri) dove rappresentano O chiavino di Carlo Mauro, Sik-Sik e per la prima volta la commedia scritta da Peppino Don Rafele 'o trumbone. Vanno quindi in scena l'adattamento L'ultimo Bottone (di Munos Seca e Garcia Alvarez) e una nuova commedia scritta da Eduardo dal titolo Quei figuri di trent'anni fa (titolo originario mutato per la censura, La bisca). Gli ultimi giorni dell'estate i De Filippo sono a Montecatini dove presentano alcuni sketch assieme alla soubrette emergente Ellen Meis, senza riscuotere particolare successo, prima di tornare a recitare per l'ultima volta con la Molinari. Il 1931 è anche l'anno in cui Eduardo presenta, sotto lo pseudonimo di Tricot, Ogni anno punto e da capo, in occasione di una serata della festa di Piedigrotta dedicata alla canzone al Teatro Reale, la cui prima rappresentazione avviene al Teatro Nuovo, all'interno dello spettacolo di rivista Cento di questi giorni, in occasione di una serata in onore del fratello Peppino. La scatenata verve comica dei tre fratelli risaliva alle forme farsesche dell'antica commedia dell'Arte, che Eduardo conosceva bene avendola studiata e non condividendone la visione che gli studiosi avevano di essa: si dimostrò, infatti, critico verso l'agiografia degli attori che ne veniva fatta.
Natale in casa Cupiello
La commedia forse più nota di Eduardo, Natale in casa Cupiello, portata in scena per la prima volta al Teatro Kursaal di Napoli, il 25 dicembre 1931, segna di fatto l'avvio vero e proprio della felice esperienza della Compagnia del "Teatro Umoristico I De Filippo", composta dai tre fratelli e da attori già famosi o giovani alle prime armi che lo diventeranno (Agostino Salvietti, Pietro Carloni, Tina Pica, Dolores Palumbo, Luigi De Martino, Alfredo Crispo, Gennaro Pisano). A giugno Eduardo aveva firmato un contratto con l'impresario teatrale che lo impegnava per soli nove giorni di recite per presentare il suo nuovo atto unico subito dopo la proiezione di un film. Il successo della commedia fu tale che la durata del contratto fu prolungata sino al 21 maggio 1932. Nata come atto unico (l'odierno 2°), Eduardo aggiunse alla commedia altri due atti, quello di apertura (nel 1932 o 1933) e quello conclusivo, dalla cronologia piuttosto controversa (per alcuni fu scritto nel 1934[9], secondo altri addirittura nel 1943, secondo un'ipotesi più probabile ed avallata più tardi anche dallo stesso autore[10] che però definirà anche più tardi la commedia come «parto trigemino con una gravidanza durata quattro anni»). Nel Natale eduardiano tutto ruota attorno ad un pranzo natalizio che viene scosso da un dramma della gelosia. Sullo sfondo, il ritratto tragicomico del protagonista, Luca Cupiello, figura ingenua di un vecchio con comportamenti fanciulleschi ed immerso nelle sue fantasie e nel suo amore per il presepe, cui si dedica con passione, apparentemente incurante delle tragiche vicende familiari che gli ruotano attorno. Aspetti autobiografici sono rilevabili nella commedia, sebbene mai confermati dall'autore: i nomi dei protagonisti, Luca e Concetta, sono i medesimi infatti dei nonni di Eduardo.
L'avanspettacolo
Il prolungamento del contratto al Kursaal costringe la compagnia ad un superlavoro, dovendo cambiare spettacolo in cartellone praticamente ogni settimana, come consuetudine in quegli anni di avanspettacolo, dove si recitava subito dopo la proiezione di un film. Numerosi sono i lavori portati in scena: oltre a Natale in casa Cupiello, la compagnia proponeva sovente Sik-Sik, Quei figuri di trent'anni fa oppure commedie in collaborazione con Maria Scarpetta, sorellastra di Eduardo, come Parlate al portiere, Una bella trovata, Noi siamo navigatori, Il thè delle cinque, Cuoco della mala cucina. Curioso è l'episodio della parodia di Cavalleria rusticana che la compagnia portava in scena e che turbò Pietro Mascagni al punto da farne bloccare le repliche. Nell'estate del 1932, la compagnia si trasferisce al cinema-teatro Reale mietendo un buon successo di pubblico e di critica; i tre fratelli vengono ormai chiamati semplicemente con il loro nome di battesimo, Eduardo, Peppino e Titina.
Eduardo inizia a sentire il bisogno di abbandonare il "provincialismo" napoletano della compagnia e, anche spinto da benevoli spunti della critica decide che è giunto il momento per la sua compagnia di operare il decisivo salto di qualità per iniziare a calcare i più prestigiosi teatri italiani. Fu decisivo in tal senso l'incontro casuale con Luigi Pirandello, che ebbe come conseguenze una grande interpretazione dell'opera Berretto a sonagli nei panni di Ciampa (1936) , la messa in scena di Liolà e la scrittura della commedia L'abito nuovo. [11].
Il 20 dicembre 1944 recitò per l'ultima volta, al teatro Diana di Napoli, accanto a Peppino, con il quale esplose il diverbio finale[12]: quindi fondò la nuova compagnia teatrale che si chiamò semplicemente "Il Teatro di Eduardo".
La ricostruzione del Teatro San Ferdinando
Nel 1948 egli acquistò il semidistrutto Teatro San Ferdinando di Napoli, investendo tutti i suoi guadagni nella ricostruzione di un antico teatro ricco di storia, mentre Napoli viveva una triste stagione all'insegna della più assurda speculazione edilizia. Il San Ferdinando fu inaugurato il 22 gennaio 1954 con l'opera Palummella zompa e vola. Eduardo cercò di salvaguardare la facciata settecentesca dello stabile realizzando all'interno un teatro tecnicamente all'avanguardia per farne una "casa" per l'attore e per il pubblico. Al San Ferdinando interpretò le sue opere, ma mise in scena anche testi di autori napoletani per recuperare la tradizione e farne un "trampolino" per un nuovo Teatro.
Adottò il parlato popolare, conferendo in questo modo al dialetto napoletano la dignità di lingua ufficiale, ma elaborò una lingua teatrale che travalicò napoletano ed italiano per diventare una lingua universale. Non vi è dubbio che l'azione e l'opera di Eduardo De Filippo siano state decisive affinché il "teatro dialettale", precedentemente giudicato di second'ordine dai critici, fosse finalmente considerato un "teatro d'arte".
Tra le opere più significative di questo periodo meritano una citazione particolare Napoli milionaria! (1945), Questi fantasmi! e Filumena Marturano[13] (entrambi del 1946), Mia famiglia (1953), Bene mio e core mio (1956), De Pretore Vincenzo (1957), Sabato, domenica e lunedì (1959) scritto apposta per l'attrice Pupella Maggio nei panni della protagonista.
L'impegno politico
Eduardo non abbandonò mai il suo impegno politico e sociale che lo vide in prima linea anche ad ottant'anni quando, nominato senatore a vita[14] lottò in Senato e sul palcoscenico per i minori rinchiusi negli istituti di pena. Nel 1962 partì per una lunga tournée in Unione Sovietica, Polonia ed Ungheria dove poté toccare con mano la grande ammirazione che pubblico ed intellettuali avevano per lui.
Tradotto e rappresentato in tutto il mondo, combatté negli anni sessanta per la creazione a Napoli di un teatro stabile. Continuò ad avere successo e nel 1963 gli venne conferito il "Premio Feltrinelli" per la rappresentazione Il sindaco del rione Sanità (da cui nel 1997 sarà tratto un film interpretato da Anthony Quinn).
Del 1973 è Gli esami non finiscono mai, allestito con successo per la prima volta a Roma: tale commedia gli permise di vincere il "premio Pirandello" per il teatro l'anno successivo. Dopo aver ricevuto due lauree honoris causa (prima a Birmingham nel 1977 e poi a Roma nel 1980) nel 1981 fu nominato senatore a vita e aderì al gruppo della Sinistra Indipendente.
Quando morì, la camera ardente venne allestita al Senato e dopo le solenni esequie trasmesse in diretta televisiva e il commosso saluto di oltre trentamila persone fu sepolto al cimitero del Verano.
Nel teatro italiano, la lezione di Eduardo resta imprescindibile non solo per quanto concerne la contemporanea drammaturgia napoletana (Annibale Ruccello ed Enzo Moscato) e tutta quella fascia di "spettacolarità" tra cinema-teatro-televisione che ha riconosciuto in Massimo Troisi il proprio campione; ma tracce dell'influenza di Eduardo si riconoscono anche in Dario Fo ed in tutta una serie di giovani "attautori" come Ascanio Celestini (soprattutto in merito al linguaggio) o di personalità sconosciute al grande pubblico che lavorano nell'ambito della "ricerca" (si ricordi ad esempio Gaetano Ventriglia).
Il cinema
Dal 1932 Eduardo De Filippo entrò prepotentemente anche nel mondo del grande schermo, sia come attore che come regista (ed occasionalmente anche come sceneggiatore): il suo esordio sul set avvenne con Il cappello a tre punte di Mario Camerini (1934), mentre la sua prima regia fu In campagna è caduta una stella del 1940, di cui fu anche interprete.
Amico e collaboratore di Vittorio De Sica, per Vittorio egli inventò alcuni personaggi divertenti in alcune pellicole (Tempi nostri e L'oro di Napoli) e curò la sceneggiatura di Matrimonio all'italiana (1964), remake di Filumena Marturano, film diretto da Eduardo nel 1951 con lui e la sorella Titina protagonisti. Nel 1950 diresse e interpretò con Totò Napoli milionaria!.
Dopo la regia di Spara forte, più forte... non capisco! del 1966 Eduardo abbandonò il cinema per dedicarsi alla TV, per la quale ripropose le sue commedie per tutto il decennio successivo e, nel 1984, l'anno della sua morte, interpretò il suo ultimo ruolo: il vecchio maestro nello sceneggiato Cuore, diretto da Luigi Comencini e tratto dal libro di Edmondo De Amicis.
Vita privata
La vita privata di Eduardo, frenetica e confusa nel periodo pre-bellico, trovò invece pace e serenità negli anni della vecchiaia.
Tre sono state le donne importanti e straordinarie nella sua vita: Dorothy Pennington (una giovane e colta americana che sposò nel 1928; il matrimonio fu annullato nel 1952 con sentenza del tribunale della Repubblica di San Marino, poi convalidata anche da quello di Napoli nel 1955)[15], Thea Prandi (madre dei suoi figli Luisa e Luca, sposata il 2 gennaio 1956) e, infine, Isabella Quarantotti, scrittrice e sceneggiatrice che sposò nel 1977.
Nel corso di pochi anni sopportò gravi lutti familiari: prima la morte della figlia Luisella, nel 1960, poi quella della moglie (da cui si era peraltro separato l'anno prima), nel 1961,[16]ed infine l'addio alle scene (1953) e la morte (1963) di Titina, la sorella da sempre "ago della bilancia" tra le forti personalità di Eduardo e quella di Peppino. Il 4 marzo 1974, in seguito a un malore durante una rappresentazione scenica, gli fu applicato un pacemaker; tuttavia il 27 marzo era di nuovo sul palcoscenico.
Teatro
Farmacia di turno (1920)
Uomo e galantuomo (1922)
Requie a l'anema soja... / I morti non fanno paura (1926)
Ditegli sempre di sì (1927)
Filosoficamente (1928)
Sik-Sik, l'artefice magico (1929)
Chi è cchiu' felice 'e me! (1929)
Quei figuri di trent'anni fa (1929)
Ogni anno punto e da capo (1931)
È arrivato 'o trentuno (1931)
Natale in casa Cupiello (1931)
Gennareniello (1932)
La voce del padrone / Il successo del giorno (1932)
Tre mesi dopo (1934)
Sintetici a qualunque costo
Quinto piano, ti saluto! (1934)
Uno coi capelli bianchi (1935)
L'abito nuovo (1936)
Occhio alle ragazze!
Pericolosamente / San Carlino (1938)
La parte di Amleto (1940)
Non ti pago (1940)
Io, l'erede (1942)
Sue piccole mani
Napoli milionaria! (1945)
Occhiali neri (1945)
Questi fantasmi! (1946)
Filumena Marturano (1946)
Le bugie con le gambe lunghe (1947)
La grande magia (1948)
Le voci di dentro (1948)
La paura numero uno (1950)
Amicizia (1952)
Mia famiglia (1955)
Bene mio e core mio (1955)
De Pretore Vincenzo (1957)
Il figlio di Pulcinella (1957)
Sabato, domenica e lunedì (1959)
Il sindaco del rione Sanità (1960)
Tommaso d'Amalfi (1962)
L'arte della commedia (1964)
Dolore sotto chiave (1964)
Il cilindro (1965)
Il contratto (1967)
Il monumento (1970)
Gli esami non finiscono mai (1973)
Cinema (attore)
Tre uomini in frack (1932)
Il cappello a tre punte (1934)
Quei due (1935)
Sono stato io (1937)
L'amor mio non muore (1938)
Il Marchese di Ruvolito (1939)
In campagna è caduta una stella (1939)
Il sogno di tutti (1941)
A che servono questi quattrini (1942)
Non ti pago! (1942)
Il fidanzato di mia moglie (1943)
Non mi muovo! (1943)
La vita ricomincia (1945)
Uno tra la folla (1946) di Ennio Cerlesi
Assunta Spina (1948) di Mario Mattoli con Anna Magnani
Campane a martello (1949)
Filumena Marturano (1951)
Cameriera bella presenza offresi (1951) di Giorgio Pastina
Cinque poveri in automobile (1952)
Le ragazze di Piazza di Spagna (1952)
Traviata '53 (1953)
Villa Borghese (1953)
L'oro di Napoli (1954)
Tempi nostri (1954) film a episodi, regia di Alessandro Blasetti
Cortile(1955)
Fortunella (1958)
Vento di passioni (1958) Regia di Richard Wilson
Ferdinando I, re di Napoli (1959)
Tutti a casa (1960)
Fantasmi a Roma (1960)
Cinema (regista)
In campagna è caduta una stella (1939)
Ti conosco, mascherina! (1944)
Napoli milionaria (1950)
Filumena Marturano (1951)
Marito e moglie (1952)
Ragazze da marito (1952)
I sette peccati capitali (1952), (episodio Avarizia e ira)
Napoletani a Milano (1953)
Questi fantasmi (1954)
Fortunella (1958)
Sogno di una notte di mezza sbornia (1959)
Oggi, domani, dopodomani (1965)
Spara forte, più forte... non capisco! (1966)
Televisione
Teatro in diretta (1955-56)
Miseria e nobiltà
Non ti pago!
Questi fantasmi
Sei telefilm da sei atti unici (1956)
Il dono di natale
Quei figuri di tanti anni fa
I morti non fanno paura
San Carlino 1900... e tanti
Amicizia
La chiave di casa
Teatro in diretta (1959)
Tre calzoni fortunati
La fortuna con l'effe maiuscola
Il medico dei pazzi
Il teatro di Eduardo. Primo ciclo (1962)
Tipi e figure
Poesie
L'avvocato ha fretta
Sik-Sik
Ditegli sempre di sì
Natale in casa Cupiello
Napoli milionaria
Questi fantasmi!
Filumena Marturano
Le voci di dentro
Sabato, domenica e lunedì
Un teleromanzo (1963)
Peppino Girella (originale televisivo in sei puntate)
Il teatro di Eduardo. Secondo ciclo (1964)
Chi è più felice di me?
L'abito nuovo
Non ti pago!
La grande magia
La paura numero uno
Bene mio core mio
Mia famiglia
Il sindaco del rione Sanità
Il ciclo scarpettiano (1975)
Lu curaggio de nu pompiere napulitano
Li nepute de lu sinneco
Na santarella
'O tuono 'e marzo
Il teatro di Eduardo. Terzo ciclo (1975-1976)
Uomo e galantuomo
De Pretore Vincenzo
L'arte della commedia
Gli esami non finiscono mai
Il teatro di Eduardo. Quarto ciclo (1977-1981)
Natale in casa Cupiello (1977)
Il cilindro (1978)
Gennareniello (1978)
Quei figuri di tanti anni fa (1978)
Le voci di dentro (1978)
Il sindaco del rione Sanità (1979)
Il contratto (1981)
Il berretto a sonagli (1981)
Serata d'onore (1978)
Lieta serata insieme a Eduardo e ai suoi compagni d'arte
Lirica in TV (1959, 1977, 1984)
La pietra del paragone (1959)
Napoli milionaria! (1977)
La pietra del paragone (1984)
Cuore (1984)
Raffaele Viviani
RAFFAELE VIVIANI
Commediografo italiano nato a Castellammare di Stabia nel 1888 morto a Napoli nel 1950. Figlio d’arte esordì come attore sin da bambino lavorando nei teatrini popolari e impersonando la figura dello scugnizzo napoletano, con la quale divenne famosissimo soprattutto nel teatro di varietà.
Nel 1917 fondò una compagnia stabile a Napoli con la quale mise in scena molte rappresentazioni
La sua opera si differenzia notevolmente da quella del suo contemporaneo Eduardo de Filippo, presentandosi allo stesso tempo come complementare a questa. Mentre l'opera di Eduardo ci presenta la borghesia napoletana, con i suoi problemi e la sua crisi di valori, Viviani mette in scena la plebe, i mendicanti, i venditori ambulanti: un'umanità disperata e disordinata che vive la sua eterna guerra per soddisfare i bisogni primari. In questo la sua poetica si allontana violentemente dalla retorica lacrimevole, pittoresca e piccolo borghese del tempo, prendendo le distanze al contempo dalla cultura positivista e ponendosi per molti versi all'interno di dinamiche creative proprie delle avanguardie. Il suo fu un teatro diverso, anomalo e sconvolgente, ma durante il fascismo subirà, con la negazione dell'uso dei dialetti, l'ostilità e il silenzio della critica e della stampa.
Le sue opere sono ambientante in contesti popolari come anche il linguaggio che si attiene al gergo del popolo. Le sue opere hanno in più, rispetto agli autori di quel tempo, una forte contaminazione musicale, si può anzi dire che la musica è parte integrante dei suoi capolavori.
Opere Teatrali
'O vico (1917)
Tuledo 'e notte (1918)
'Nterr' 'a 'Mmaculatella (1918)
La Festa di Piedigrotta (1919)
'O spusarizio (1919)
Circo Equestre Sgueglia (1922)
'O fatto 'e cronaca (1922)
Don Giacinto (1923),
E piscature (1924)
'A musica de cecate (1928)
'A morte 'e Carnevale (1928)
L'imbroglione onesto (1930)
L'ultimo scugnizzo (1932)
L'ombra di Pulcinella (1933)
Padroni di barche (1937)
Muratori (1942)
I dieci comandamenti (1947)
-Personaggi- delle opere teatrali
Pichillo (suonatore di "caccavella" -La Festa di Piedigrotta)
Discografia
Borgo sant'Antonio
È morta muglierema
L'acquaiuolo
Arte liggera
'O maruzzaro
Magnetismo
'E voce 'e Napule
'O tammurraro
'A festa 'e Piererotta
'O cantante 'e pianino
'O pizzaiuolo
'O vicariello - 'A cerca Benvenuto al re
'O ciarlatano - Emigrante
'O cacciavino
Cinema
1912 Un amore selvaggio (il film, interpretato anche dalla sorella Luisella, diretto da Enrico Guazzoni o forse dallo stesso Viviani, è stato ritrovato in Olanda e proiettato poi nel 2005)
1912 Testa per testa (con Luisella, risulta perduto)
1912 La catena d'oro (con Luisella, risulta perduto)
1932 La tavola dei poveri di Alessandro Blasetti - interpretazione e sceneggiatura dal suo atto unico omonimo
1938 L'ultimo scugnizzo di Gennaro Righelli - dal suo atto unico omonimo.
Commediografo italiano nato a Castellammare di Stabia nel 1888 morto a Napoli nel 1950. Figlio d’arte esordì come attore sin da bambino lavorando nei teatrini popolari e impersonando la figura dello scugnizzo napoletano, con la quale divenne famosissimo soprattutto nel teatro di varietà.
Nel 1917 fondò una compagnia stabile a Napoli con la quale mise in scena molte rappresentazioni
La sua opera si differenzia notevolmente da quella del suo contemporaneo Eduardo de Filippo, presentandosi allo stesso tempo come complementare a questa. Mentre l'opera di Eduardo ci presenta la borghesia napoletana, con i suoi problemi e la sua crisi di valori, Viviani mette in scena la plebe, i mendicanti, i venditori ambulanti: un'umanità disperata e disordinata che vive la sua eterna guerra per soddisfare i bisogni primari. In questo la sua poetica si allontana violentemente dalla retorica lacrimevole, pittoresca e piccolo borghese del tempo, prendendo le distanze al contempo dalla cultura positivista e ponendosi per molti versi all'interno di dinamiche creative proprie delle avanguardie. Il suo fu un teatro diverso, anomalo e sconvolgente, ma durante il fascismo subirà, con la negazione dell'uso dei dialetti, l'ostilità e il silenzio della critica e della stampa.
Le sue opere sono ambientante in contesti popolari come anche il linguaggio che si attiene al gergo del popolo. Le sue opere hanno in più, rispetto agli autori di quel tempo, una forte contaminazione musicale, si può anzi dire che la musica è parte integrante dei suoi capolavori.
Opere Teatrali
'O vico (1917)
Tuledo 'e notte (1918)
'Nterr' 'a 'Mmaculatella (1918)
La Festa di Piedigrotta (1919)
'O spusarizio (1919)
Circo Equestre Sgueglia (1922)
'O fatto 'e cronaca (1922)
Don Giacinto (1923),
E piscature (1924)
'A musica de cecate (1928)
'A morte 'e Carnevale (1928)
L'imbroglione onesto (1930)
L'ultimo scugnizzo (1932)
L'ombra di Pulcinella (1933)
Padroni di barche (1937)
Muratori (1942)
I dieci comandamenti (1947)
-Personaggi- delle opere teatrali
Pichillo (suonatore di "caccavella" -La Festa di Piedigrotta)
Discografia
Borgo sant'Antonio
È morta muglierema
L'acquaiuolo
Arte liggera
'O maruzzaro
Magnetismo
'E voce 'e Napule
'O tammurraro
'A festa 'e Piererotta
'O cantante 'e pianino
'O pizzaiuolo
'O vicariello - 'A cerca Benvenuto al re
'O ciarlatano - Emigrante
'O cacciavino
Cinema
1912 Un amore selvaggio (il film, interpretato anche dalla sorella Luisella, diretto da Enrico Guazzoni o forse dallo stesso Viviani, è stato ritrovato in Olanda e proiettato poi nel 2005)
1912 Testa per testa (con Luisella, risulta perduto)
1912 La catena d'oro (con Luisella, risulta perduto)
1932 La tavola dei poveri di Alessandro Blasetti - interpretazione e sceneggiatura dal suo atto unico omonimo
1938 L'ultimo scugnizzo di Gennaro Righelli - dal suo atto unico omonimo.
Eduardo Scarpetta
EDUARDO SCARPETTA
Eduardo Scarpetta è nato a Napoli il 13 marzo 1853, è stato un attore e commediografo italiano.
Fu uno dei più importanti attori e autori del teatro napoletano tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento. Si specializzò nell'adattare in dialetto napoletano moltissime pochade francesi; la sua commedia più celebre, Miseria e nobiltà, fu però una creazione originale del suo repertorio.
Vanta una carriera lunghissima di commediografo (dal 1875), interrotta bruscamente da una celebre causa intentatagli da Gabriele d'Annunzio nel 1904.
Debuttò giovanissimo all'età di quindi anni come generico, ma divenne famoso solo due anni dopo con l'interpretazione del personaggio di Felice Sciosciammocca, a lungo suo cavallo di battaglia nella farsa Feliciello mariuolo de na pizza di Enrico Parisi.
Nel 1872 entrò nella compagnia del teatro San Carlino lavorando con il celebre Antonio Petito, il quale scrisse e curò per lui l'allestimento di alcune farse.
Dopo la morte di Petito Scarpetta trascorse un brevissimo periodo a Roma, nella compagnia di Raffaele Vitale (uno dei più celebri Pulcinella dell'epoca) prese in affitto con alcuni comici del San Carlino un baraccone sul Molo, il Metastasio, dove rappresenta alcuni suoi lavori. Nel 1878 accetta di far ritorno al San Carlino, sapendo che al suo fianco avrebbe recitato in sottordine il pulcinella Cesare Teodoro; qui ottenne un grande successo con la commedia "Don Felice maestro di calligrafia" meglio conosciuta come "Lu curaggio de nu pompiere napulitano". L'anno successivo viene scritturato per una tournée a livello nazionale, riscuotendo un notevole successo.
Al suo rientro a Napoli ristrutturò il San Carlino dove mise ins cena con la propria comapgnia alcuni spettacoli come Lo Scarfalietto (1881), un significativo esempio della sua comicità che mescolava insieme i caratteri della tradizione teatrale partenopea con elementi e temi tratti dal vaudeville e dalla pochade francesi.
Diventato ormai un capocomico di successo, nato da una famiglia modesta, possiede ora un palazzo in Via Dei Mille, costruito dallo stesso architetto del Teatro Bellini, Vincenzo Salvietti, carrozze e cavalli. Sposato dal 1876 con Rosa De Filippo (la quale, da giovane, era stata amata dal re Vittorio Emanuele II e si mostra spesso con diademi e brillanti degni di una regina) aveva poi intrecciato una relazione con la nipote di costei, Luisa De Filippo.
La fondazione del Teatro Salone Margherita, il primo grande varietà napoletano, costruito nei sotterranei della nuova Galleria Umberto I, cominciò a minare le fortune del commediografo, che in risposta alla nuova moda si ripresentò al pubblico con un suo Cafè-chantant, ma il colpo di grazia gli arrivò nel 1904, quando fu protagonista suo malgrado di una delle più clamorose vicende teatrali dell'epoca: quella riguardante la parodia de "La figlia di Iorio" di Gabriele d'Annunzio, che gli procurò un cocente insuccesso. D'Annunzio stesso lo trascinò in tribunale per una memorabile causa durata tre anni (dal 1906 al 1908) che comunque vinse, e tante amarezze. Moltissime sono le critiche di questi anni, soprattutto da parte di Salvatore Di Giacomo e Roberto Bracco. Unica voce in sua difesa fu quella di Benedetto Croce.
Nel 1909, deluso ed amareggiato, si ritirò dalle scene, dopo aver preso parte alla parodia "La Regina del Mare", composta dal figlio Vincenzo, al quale egli impone di essere suo continuatore nel ruolo di Sciosciammocca. Nel 1920 scrisse un saggio sui caratteri innovatori dell'arte di Raffaele Viviani. Morì all'età di 72 anni, e i suoi funerali furono molto imponenti: venne imbalsamato e deposto in una bara di cristallo fino allo scoppio della seconda guerra mondiale. Le sue commedie vennero riprese molte volte e sono ancora oggi spesso in cartellone. Oltre al figlio Vincenzo, anche altri celebri attori napoletani come i fratelli Aldo e Carlo Giuffré recitarono le sue commedie brillanti. Sul grande schermo vennero ricavati diversi film dalle sue commedie, oltre a tre versioni del suo capolavoro, anche se la versione muta del 1914 è da considerarsi perduta.
Innovazioni
Il suo teatro si rivolge ora anche ad un pubblico borghese e più elitario, inoltre viene eliminata dalla scena la maschera, che prima era fondamentale nel teatro napoletano ancora legato alla commedia dell'arte.
Eduardo Scarpetta è nato a Napoli il 13 marzo 1853, è stato un attore e commediografo italiano.
Fu uno dei più importanti attori e autori del teatro napoletano tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento. Si specializzò nell'adattare in dialetto napoletano moltissime pochade francesi; la sua commedia più celebre, Miseria e nobiltà, fu però una creazione originale del suo repertorio.
Vanta una carriera lunghissima di commediografo (dal 1875), interrotta bruscamente da una celebre causa intentatagli da Gabriele d'Annunzio nel 1904.
Debuttò giovanissimo all'età di quindi anni come generico, ma divenne famoso solo due anni dopo con l'interpretazione del personaggio di Felice Sciosciammocca, a lungo suo cavallo di battaglia nella farsa Feliciello mariuolo de na pizza di Enrico Parisi.
Nel 1872 entrò nella compagnia del teatro San Carlino lavorando con il celebre Antonio Petito, il quale scrisse e curò per lui l'allestimento di alcune farse.
Dopo la morte di Petito Scarpetta trascorse un brevissimo periodo a Roma, nella compagnia di Raffaele Vitale (uno dei più celebri Pulcinella dell'epoca) prese in affitto con alcuni comici del San Carlino un baraccone sul Molo, il Metastasio, dove rappresenta alcuni suoi lavori. Nel 1878 accetta di far ritorno al San Carlino, sapendo che al suo fianco avrebbe recitato in sottordine il pulcinella Cesare Teodoro; qui ottenne un grande successo con la commedia "Don Felice maestro di calligrafia" meglio conosciuta come "Lu curaggio de nu pompiere napulitano". L'anno successivo viene scritturato per una tournée a livello nazionale, riscuotendo un notevole successo.
Al suo rientro a Napoli ristrutturò il San Carlino dove mise ins cena con la propria comapgnia alcuni spettacoli come Lo Scarfalietto (1881), un significativo esempio della sua comicità che mescolava insieme i caratteri della tradizione teatrale partenopea con elementi e temi tratti dal vaudeville e dalla pochade francesi.
Diventato ormai un capocomico di successo, nato da una famiglia modesta, possiede ora un palazzo in Via Dei Mille, costruito dallo stesso architetto del Teatro Bellini, Vincenzo Salvietti, carrozze e cavalli. Sposato dal 1876 con Rosa De Filippo (la quale, da giovane, era stata amata dal re Vittorio Emanuele II e si mostra spesso con diademi e brillanti degni di una regina) aveva poi intrecciato una relazione con la nipote di costei, Luisa De Filippo.
La fondazione del Teatro Salone Margherita, il primo grande varietà napoletano, costruito nei sotterranei della nuova Galleria Umberto I, cominciò a minare le fortune del commediografo, che in risposta alla nuova moda si ripresentò al pubblico con un suo Cafè-chantant, ma il colpo di grazia gli arrivò nel 1904, quando fu protagonista suo malgrado di una delle più clamorose vicende teatrali dell'epoca: quella riguardante la parodia de "La figlia di Iorio" di Gabriele d'Annunzio, che gli procurò un cocente insuccesso. D'Annunzio stesso lo trascinò in tribunale per una memorabile causa durata tre anni (dal 1906 al 1908) che comunque vinse, e tante amarezze. Moltissime sono le critiche di questi anni, soprattutto da parte di Salvatore Di Giacomo e Roberto Bracco. Unica voce in sua difesa fu quella di Benedetto Croce.
Nel 1909, deluso ed amareggiato, si ritirò dalle scene, dopo aver preso parte alla parodia "La Regina del Mare", composta dal figlio Vincenzo, al quale egli impone di essere suo continuatore nel ruolo di Sciosciammocca. Nel 1920 scrisse un saggio sui caratteri innovatori dell'arte di Raffaele Viviani. Morì all'età di 72 anni, e i suoi funerali furono molto imponenti: venne imbalsamato e deposto in una bara di cristallo fino allo scoppio della seconda guerra mondiale. Le sue commedie vennero riprese molte volte e sono ancora oggi spesso in cartellone. Oltre al figlio Vincenzo, anche altri celebri attori napoletani come i fratelli Aldo e Carlo Giuffré recitarono le sue commedie brillanti. Sul grande schermo vennero ricavati diversi film dalle sue commedie, oltre a tre versioni del suo capolavoro, anche se la versione muta del 1914 è da considerarsi perduta.
Innovazioni
Il suo teatro si rivolge ora anche ad un pubblico borghese e più elitario, inoltre viene eliminata dalla scena la maschera, che prima era fondamentale nel teatro napoletano ancora legato alla commedia dell'arte.
Petito
ANTONIO PETITO
Antonio Petito nacque a Napoli nel 1822, fu un attore e autore di teatro. La sua attività teatrale ha esercitato una forte influenza sul teatro napoletano del Novecento. Nato in una celebre famiglia napoletana di attori, Antonio ricevette una sorta di investitura teatrale nel 1852 quando, nel corso di uno spettacolo al teatro San Carlino, il padre, Salvatore, acclamato interprete di Pulcinella, gli cedette la maschera.
In breve il figlio eguagliò i successi del padre, dando vita ad un Pulcinella particolarmente satirico, ed evidenziò le proprie doti di attore anche come Pascariello, il secondo zanni autenticamente partenopeo, che viene recitato senza Maschera. Come autore, rivelò sin da principio di possedere uno sguardo attento ai problemi sociali e politici.
Eliminate le suggestioni letterarie e le coloriture eccessivamente istrioniche, diede vita ad una drammaturgia ricca di soluzioni e stili innovativi, dalle trasposizioni comico- parodistiche dei generi alti del teatro (melodramma, tragedia, dramma storico), alle farse in un atto, con un Pulcinella alle prese con i mestieri tipici della città che si fa voce del popolo napoletano. A lui si affianca il personaggio di Felice Sciosciammoca, giovanotto striminzito e pieno di tic, interpretato dal giovane Eduardo Scarpetta.
Le sue opere erano farse e parodie che trattavano della vita quotidiana, con uno stile popolare e una comicità cattiva.
Fu, oltre che attore dotato di grande mimica, anche drammaturgo nonostante fosse semianalfabeta, incapace di scrivere correttamente in italiano: per questo motivo si avvalse sempre di revisori delle sue opere, e tra questi il più ricorrente e ricercato fu Giacomo Marulli.
Petito è una delle figure più importanti del teatro napoletano dell'Ottocento.
Dietro le quinte del teatro San Carlino, Petito ebbe, la sera del 24 marzo 1876, l'attacco cardiaco che gli fu fatale
Dopo la sua morte, quel teatro sopravvisse ancora per poco, avendo perso il suo più amato rappresentante.
Nel 1982 la RAI gli dedicò uno sceneggiato televisivo in sette puntate: Petito story.
Antonio Petito nacque a Napoli nel 1822, fu un attore e autore di teatro. La sua attività teatrale ha esercitato una forte influenza sul teatro napoletano del Novecento. Nato in una celebre famiglia napoletana di attori, Antonio ricevette una sorta di investitura teatrale nel 1852 quando, nel corso di uno spettacolo al teatro San Carlino, il padre, Salvatore, acclamato interprete di Pulcinella, gli cedette la maschera.
In breve il figlio eguagliò i successi del padre, dando vita ad un Pulcinella particolarmente satirico, ed evidenziò le proprie doti di attore anche come Pascariello, il secondo zanni autenticamente partenopeo, che viene recitato senza Maschera. Come autore, rivelò sin da principio di possedere uno sguardo attento ai problemi sociali e politici.
Eliminate le suggestioni letterarie e le coloriture eccessivamente istrioniche, diede vita ad una drammaturgia ricca di soluzioni e stili innovativi, dalle trasposizioni comico- parodistiche dei generi alti del teatro (melodramma, tragedia, dramma storico), alle farse in un atto, con un Pulcinella alle prese con i mestieri tipici della città che si fa voce del popolo napoletano. A lui si affianca il personaggio di Felice Sciosciammoca, giovanotto striminzito e pieno di tic, interpretato dal giovane Eduardo Scarpetta.
Le sue opere erano farse e parodie che trattavano della vita quotidiana, con uno stile popolare e una comicità cattiva.
Fu, oltre che attore dotato di grande mimica, anche drammaturgo nonostante fosse semianalfabeta, incapace di scrivere correttamente in italiano: per questo motivo si avvalse sempre di revisori delle sue opere, e tra questi il più ricorrente e ricercato fu Giacomo Marulli.
Petito è una delle figure più importanti del teatro napoletano dell'Ottocento.
Dietro le quinte del teatro San Carlino, Petito ebbe, la sera del 24 marzo 1876, l'attacco cardiaco che gli fu fatale
Dopo la sua morte, quel teatro sopravvisse ancora per poco, avendo perso il suo più amato rappresentante.
Nel 1982 la RAI gli dedicò uno sceneggiato televisivo in sette puntate: Petito story.
martedì 20 aprile 2010
labiche e feydeau
Eugène Marin Labiche (Parigi, 6 maggio 1815 – Parigi, 22 gennaio 1888) è stato un drammaturgo francese.
Studente del Liceo Condorcet ed ivi diplomatosi, intraprese a diciannove anni, nel 1834, un viaggio in Italia con alcuni amici, tra cui il futuro storico e drammaturgo Alphonse Leveaux.
Fu tra gli esponenti più importanti e rappresentati del vaudeville. Scrisse sotto vari pseudonimi, molti dei quali nascondevano in realtà collettivi di autori.
Il 28 febbraio 1880 venne eletto membro dell'Académie française.
Labiche produsse un significativo numero di opere teatrali, all'incirca 174. La sua opera più conosciuta è la farsa Un chapeau de paille d'Italie scritta con Marc Michel nel 1851, da cui il compositore Nino Rota ha tratto nel 1945 l'opera lirica Il cappello di paglia di Firenze (dal lavoro teatrale sono stati derivati anche due film).
È sepolto nel cimitero di Montmartre a Parigi.
Georges Feydeau
(Parigi, 8 dicembre 1862 – Rueil, 5 giugno 1921) è stato un drammaturgo francese.
È considerato, dopo Molière, uno dei più grandi autori del teatro comico francese.
Georges è figlio di Ernest-Aimè (1821-1873), anche lui autore di racconti di buon successo (pubblicò “Fanny” nel 1858, e “Souvenirs d’une cocotte” nel 1872).
Georges divenne prestissimo autore e regista di opere teatrali caratterizzate dal ritmo quasi frenetico e basate sulla "matematica" dell'effetto comico (era un severissimo metteur en scène) la cui popolarità superò infine anche quella delle opere del maestro del genere, Eugène Labiche.
Molte sue farse (termine decisamente più corretto rispetto a "commedie") sono ancora oggi rappresentate e applaudite, in particolar modo: “A scatola chiusa”, “La palla al piede”, “Il tacchino”, “La pulce nell’orecchio”, "Dove vai tutta nuda?" e soprattutto le celeberrime “Occupati d’Amelia”, “Sarto per Signora” e “L’ albergo del libero scambio”, che tornano ogni anno nei cartelloni italiani ad opera di compagnie diverse.
Feydeau non era solo un autore, ma un teatrante al quadrato. Conosceva e "scriveva" di scene, luci e costumi trattandoli al pari di attori. Le sue scenografie (ricche di complicatissimi cambi a vista ed al buio) sono finemente studiate con porte, finestre e armadi in numero calcolato ed angolazioni millimetriche per suscitare (se utilizzate sapientemente dagli attori) effetti esilaranti.
Nel suo teatro moltissime situazioni comiche sono totalmente prive di battute: un uomo entra in scena, una donna ne esce, e scatta la risata fragorosa.
La sua abilità di regista e drammaturgo suscitò per decenni risate in ogni tipo di pubblico, tanto da mettere in secondo piano la spietata satira alla borghesia parigina che adombra ogni sua opera.
In una critica più lungimirante avrebbe potuto essere considerato da subito un moderno Molière, ed invece per anni fu snobbato come autore "di serie B" dal gotha del teatro europeo (ad eccezione di quello francese) . Nondimeno le compagnie di teatro brillante fecero incetta di tutte le sue opere, in generale con ottimi risultati.
Solo recentemente è stato rivalutato e riletto in chiave di ironico fustigatore dell'ipocrisia borghese, anche se la messa in scena delle sue opere risente spesso dell'infinità di ruoli che Feydeau utilizza in quasi tutti i suoi lavori.
Ruoli che è difficilissimo tagliare: Feydeau era un artista (ed un teorico) del ritmo iperrealistico dell'azione, ed è noto che facesse provare i suoi attori a tempo di musica, imponendo performance vocali e fisiche notevoli. Era impossibile, dunque, concentrare tutto in poche parti.
La febbrile attività di Feydeau, la vita notturna, il gioco d'azzardo e l'amore per gli eccessi (fu uno dei protagonisti della Belle Epoque parigina ) ebbero tuttavia gravi conseguenze per il suo equilibrio vitale: morì il 5 giugno 1921, in una clinica psichiatrica dove era stato internato per grave malattia mentale contratta in conseguenza della sifilide.
Resta la grandezza di un caposcuola, un uomo di teatro che era molto più che un semplice autore e che tuttavia viene ricordato ingiustamente solo in quella chiave, mentre la sua opera di regista andrebbe studiata in maniera analitica.
Una bizzaria, riguardante il suo funerale, riguardò la volontà di Feydeau di essere sepolto con il suo telefono, in modo da poter restare in contatto con gli esseri umani anche dopo morto.
Ci ha lasciato un nutrito carnet di circa 50 opere, non tutte complete, classificabili come farse e vaudeville.
Le Opere
Par la fenêtre (Dalla finestra) 1 atto - 1882
Amour et piano (Amore e piano) 1 atto - 1883
Le diapason (Il diapason) 1883
Gibier de potence (Il gioco del patibolo) 1 atto - 1884
Fiancés en herbe (Fidanzati in erba) 1 atto - 1886
Tailleur pour dames (Sarto per Signora) 3 atti - 1886
La Lycéenne (La liceale) 3 atti - 1887
Un bain de ménage (Un bagno in casa) 1 atto - 1888
Le chat en poche (Il gatto in tasca, nota anche con il titolo "A scatola chiusa") 3 atti - 1888
Les Fiancés de Loches (I fidanzati di Loches) 3 atti - 1888
L’affaire Eduard (Il caso Eduard) 3 atti - 1889
C’est una femme du monde (Una donna di mondo) 1 atto - 1890
Le mariage de Barillon (Il matrimonio di Barillon) 3 atti - 1890
Le ruban (Il nastro) 1891
Madame Sganarello (La signora Sganarello) 1891
Monsieur chasse! (Il signore va a caccia) 3 atti - 1892
Champignol malgré lui (Champignol suo malgrado) 1 atto - 1892
Le systéme Ribadier (Il sistema Ribadier) 3 atti - 1892
Un fil a la patte (La palla al piede) 3 atti - 1894
Notre futur (Il nostro futuro) 1 atto - 1894
L’Hotel du libre échange (L’ albergo del libero scambio) 3 atti - 1894
Le Dindon (Il Tacchino) 3 atti - 1896
Les Pavés de l’ours (A pelle d'orso!) 1 atto - 1896
Séance de nuit (Seduta di notte) 1 atto - 1897
Dormez, je le veux! (Dormi, te lo ordino!) 1 atto - 1897
La dame de chez Maxim (La dama di Chez Maxim) 3 atti - 1899
La duchesse des Folies-Bergères (La duchessa delle Folies-Bergères) 3 atti-1902
Le Main passe (Passa la mano) 4 atti - 1904
Le Bourgeon (Il germoglio) 3 atti - 1906
La Puce à l’oreille (La pulce nell’orecchio) 3 atti - 1907
Occupe-toi d’Amélie (Occupati di Amelia) 3 atti - 1908
Feu la mère de Madame (La fu madre della signora) 1 atto - 1908
Le circuit (Il circuito) 3 atti - 1909 (scritta in collaborazione con Croisset)
On purge bébé (Una purga per il bebè) 1 atto - 1910
Mais n’te promène donc pas toute nue! (Dove vai tutta nuda?) 1 atto - 1911
Léonie est en avance, ou le mal joli (Leonia è in anticipo) 1 atto - 1912
Je ne trompe pas mon mari (Non inganno mio marito) 3 atti - 1912
Hortense a dit: “Je m’en fous!” (Ortensia ha detto: “Me ne infischio!”) 1 atto - 1916
Cent milions qui tombent (Cento milioni piovuti dal cielo) 3 atti - 1911
Les Monologues (I 22 monologhi)
Inédits (Gli Inediti): L’homme de paille, L’amour doint se taire, Deux Coqs pour une poule, A qui ma femme?, Monsieur Nonou, La mi carene
Alcune sue farse furono riadattatte in napoletano da Eduardo Scarpetta:
L’ albergo del silenzio (da "L’albergo del libero scambio") 1896
Le belle sciantose (da "La palla al piede") 1897
'A nanàssa (da "La dama di Chez-Maxim’s") 1900
Madama Sangenella (da "Il tacchino") 1902
Studente del Liceo Condorcet ed ivi diplomatosi, intraprese a diciannove anni, nel 1834, un viaggio in Italia con alcuni amici, tra cui il futuro storico e drammaturgo Alphonse Leveaux.
Fu tra gli esponenti più importanti e rappresentati del vaudeville. Scrisse sotto vari pseudonimi, molti dei quali nascondevano in realtà collettivi di autori.
Il 28 febbraio 1880 venne eletto membro dell'Académie française.
Labiche produsse un significativo numero di opere teatrali, all'incirca 174. La sua opera più conosciuta è la farsa Un chapeau de paille d'Italie scritta con Marc Michel nel 1851, da cui il compositore Nino Rota ha tratto nel 1945 l'opera lirica Il cappello di paglia di Firenze (dal lavoro teatrale sono stati derivati anche due film).
È sepolto nel cimitero di Montmartre a Parigi.
Georges Feydeau
(Parigi, 8 dicembre 1862 – Rueil, 5 giugno 1921) è stato un drammaturgo francese.
È considerato, dopo Molière, uno dei più grandi autori del teatro comico francese.
Georges è figlio di Ernest-Aimè (1821-1873), anche lui autore di racconti di buon successo (pubblicò “Fanny” nel 1858, e “Souvenirs d’une cocotte” nel 1872).
Georges divenne prestissimo autore e regista di opere teatrali caratterizzate dal ritmo quasi frenetico e basate sulla "matematica" dell'effetto comico (era un severissimo metteur en scène) la cui popolarità superò infine anche quella delle opere del maestro del genere, Eugène Labiche.
Molte sue farse (termine decisamente più corretto rispetto a "commedie") sono ancora oggi rappresentate e applaudite, in particolar modo: “A scatola chiusa”, “La palla al piede”, “Il tacchino”, “La pulce nell’orecchio”, "Dove vai tutta nuda?" e soprattutto le celeberrime “Occupati d’Amelia”, “Sarto per Signora” e “L’ albergo del libero scambio”, che tornano ogni anno nei cartelloni italiani ad opera di compagnie diverse.
Feydeau non era solo un autore, ma un teatrante al quadrato. Conosceva e "scriveva" di scene, luci e costumi trattandoli al pari di attori. Le sue scenografie (ricche di complicatissimi cambi a vista ed al buio) sono finemente studiate con porte, finestre e armadi in numero calcolato ed angolazioni millimetriche per suscitare (se utilizzate sapientemente dagli attori) effetti esilaranti.
Nel suo teatro moltissime situazioni comiche sono totalmente prive di battute: un uomo entra in scena, una donna ne esce, e scatta la risata fragorosa.
La sua abilità di regista e drammaturgo suscitò per decenni risate in ogni tipo di pubblico, tanto da mettere in secondo piano la spietata satira alla borghesia parigina che adombra ogni sua opera.
In una critica più lungimirante avrebbe potuto essere considerato da subito un moderno Molière, ed invece per anni fu snobbato come autore "di serie B" dal gotha del teatro europeo (ad eccezione di quello francese) . Nondimeno le compagnie di teatro brillante fecero incetta di tutte le sue opere, in generale con ottimi risultati.
Solo recentemente è stato rivalutato e riletto in chiave di ironico fustigatore dell'ipocrisia borghese, anche se la messa in scena delle sue opere risente spesso dell'infinità di ruoli che Feydeau utilizza in quasi tutti i suoi lavori.
Ruoli che è difficilissimo tagliare: Feydeau era un artista (ed un teorico) del ritmo iperrealistico dell'azione, ed è noto che facesse provare i suoi attori a tempo di musica, imponendo performance vocali e fisiche notevoli. Era impossibile, dunque, concentrare tutto in poche parti.
La febbrile attività di Feydeau, la vita notturna, il gioco d'azzardo e l'amore per gli eccessi (fu uno dei protagonisti della Belle Epoque parigina ) ebbero tuttavia gravi conseguenze per il suo equilibrio vitale: morì il 5 giugno 1921, in una clinica psichiatrica dove era stato internato per grave malattia mentale contratta in conseguenza della sifilide.
Resta la grandezza di un caposcuola, un uomo di teatro che era molto più che un semplice autore e che tuttavia viene ricordato ingiustamente solo in quella chiave, mentre la sua opera di regista andrebbe studiata in maniera analitica.
Una bizzaria, riguardante il suo funerale, riguardò la volontà di Feydeau di essere sepolto con il suo telefono, in modo da poter restare in contatto con gli esseri umani anche dopo morto.
Ci ha lasciato un nutrito carnet di circa 50 opere, non tutte complete, classificabili come farse e vaudeville.
Le Opere
Par la fenêtre (Dalla finestra) 1 atto - 1882
Amour et piano (Amore e piano) 1 atto - 1883
Le diapason (Il diapason) 1883
Gibier de potence (Il gioco del patibolo) 1 atto - 1884
Fiancés en herbe (Fidanzati in erba) 1 atto - 1886
Tailleur pour dames (Sarto per Signora) 3 atti - 1886
La Lycéenne (La liceale) 3 atti - 1887
Un bain de ménage (Un bagno in casa) 1 atto - 1888
Le chat en poche (Il gatto in tasca, nota anche con il titolo "A scatola chiusa") 3 atti - 1888
Les Fiancés de Loches (I fidanzati di Loches) 3 atti - 1888
L’affaire Eduard (Il caso Eduard) 3 atti - 1889
C’est una femme du monde (Una donna di mondo) 1 atto - 1890
Le mariage de Barillon (Il matrimonio di Barillon) 3 atti - 1890
Le ruban (Il nastro) 1891
Madame Sganarello (La signora Sganarello) 1891
Monsieur chasse! (Il signore va a caccia) 3 atti - 1892
Champignol malgré lui (Champignol suo malgrado) 1 atto - 1892
Le systéme Ribadier (Il sistema Ribadier) 3 atti - 1892
Un fil a la patte (La palla al piede) 3 atti - 1894
Notre futur (Il nostro futuro) 1 atto - 1894
L’Hotel du libre échange (L’ albergo del libero scambio) 3 atti - 1894
Le Dindon (Il Tacchino) 3 atti - 1896
Les Pavés de l’ours (A pelle d'orso!) 1 atto - 1896
Séance de nuit (Seduta di notte) 1 atto - 1897
Dormez, je le veux! (Dormi, te lo ordino!) 1 atto - 1897
La dame de chez Maxim (La dama di Chez Maxim) 3 atti - 1899
La duchesse des Folies-Bergères (La duchessa delle Folies-Bergères) 3 atti-1902
Le Main passe (Passa la mano) 4 atti - 1904
Le Bourgeon (Il germoglio) 3 atti - 1906
La Puce à l’oreille (La pulce nell’orecchio) 3 atti - 1907
Occupe-toi d’Amélie (Occupati di Amelia) 3 atti - 1908
Feu la mère de Madame (La fu madre della signora) 1 atto - 1908
Le circuit (Il circuito) 3 atti - 1909 (scritta in collaborazione con Croisset)
On purge bébé (Una purga per il bebè) 1 atto - 1910
Mais n’te promène donc pas toute nue! (Dove vai tutta nuda?) 1 atto - 1911
Léonie est en avance, ou le mal joli (Leonia è in anticipo) 1 atto - 1912
Je ne trompe pas mon mari (Non inganno mio marito) 3 atti - 1912
Hortense a dit: “Je m’en fous!” (Ortensia ha detto: “Me ne infischio!”) 1 atto - 1916
Cent milions qui tombent (Cento milioni piovuti dal cielo) 3 atti - 1911
Les Monologues (I 22 monologhi)
Inédits (Gli Inediti): L’homme de paille, L’amour doint se taire, Deux Coqs pour une poule, A qui ma femme?, Monsieur Nonou, La mi carene
Alcune sue farse furono riadattatte in napoletano da Eduardo Scarpetta:
L’ albergo del silenzio (da "L’albergo del libero scambio") 1896
Le belle sciantose (da "La palla al piede") 1897
'A nanàssa (da "La dama di Chez-Maxim’s") 1900
Madama Sangenella (da "Il tacchino") 1902
teatro dell'800 in Francia e vaudeville
Vaudeville
E' un genere teatrale nato in Francia a fine Settecento. Attualmente, per Vaudeville, si intendono commedie leggere in cui alla prosa vengono alternate strofe cantate su arie conosciute (vaudevilles).
Il Theatre du Vaudeville, primo teatro di gran successo in cui venivano rappresentate i vaudevilles, risale al 1792.
In seguito prese piede anche in Nord America dagli anni '80 dell'Ottocento fino agli anni venti del Novecento, trasformandosi nel moderno spettacolo di Varietà. Con un momento d`oro vissuto a Berlino, tra il 1930 e il 1945 grazie a locali entrati nel mito come il Titania Palast di Berlino, capace di 1900 posti.
La sua popolarità crebbe con lo sviluppo dell'industria e la crescita delle città nel Nord America, e declinò con l'introduzione dei film sonori e della radio.
L'origine del termine è oscura, ma viene solitamente considerata come una storpiatura dell'espressione francese voix de ville, ovvero "voce della città". Un'altra possibile etimologia è che sia derivata da un'altra espressione francese, Vau de Vire, una valle della Normandia celebre per delle particolari e tipiche canzoni su temi d'attualità.
Il termine si trova impiegato sin dal XV secolo per indicare non l'intero spettacolo bensì una canzone, eventualmente eseguita sulla scena, spesso di contenuto licenzioso o satirico.
E' un genere teatrale nato in Francia a fine Settecento. Attualmente, per Vaudeville, si intendono commedie leggere in cui alla prosa vengono alternate strofe cantate su arie conosciute (vaudevilles).
Il Theatre du Vaudeville, primo teatro di gran successo in cui venivano rappresentate i vaudevilles, risale al 1792.
In seguito prese piede anche in Nord America dagli anni '80 dell'Ottocento fino agli anni venti del Novecento, trasformandosi nel moderno spettacolo di Varietà. Con un momento d`oro vissuto a Berlino, tra il 1930 e il 1945 grazie a locali entrati nel mito come il Titania Palast di Berlino, capace di 1900 posti.
La sua popolarità crebbe con lo sviluppo dell'industria e la crescita delle città nel Nord America, e declinò con l'introduzione dei film sonori e della radio.
L'origine del termine è oscura, ma viene solitamente considerata come una storpiatura dell'espressione francese voix de ville, ovvero "voce della città". Un'altra possibile etimologia è che sia derivata da un'altra espressione francese, Vau de Vire, una valle della Normandia celebre per delle particolari e tipiche canzoni su temi d'attualità.
Il termine si trova impiegato sin dal XV secolo per indicare non l'intero spettacolo bensì una canzone, eventualmente eseguita sulla scena, spesso di contenuto licenzioso o satirico.
IL TEATRO NEL 500 E LA COMMEDIA DELL'ARTE
IL TEATRO NEL 500 E LA COMMEDIA DELL'ARTE
Il teatro del 500 o rinascimentale è l'insieme dei generi drammaturgici e delle diverse forme di rappresentazione teatrale scritti e praticati in Europa tra la fine del medioevo e l'inizio dell'età moderna
In questo periodo si assiste ad un fenomeno di rinascita del teatro, preparata dalla lunga tradizione teatrale medioevale che si era manifestata nelle corti, nelle piazze e nelle università in molteplici forme, dalla sacra rappresentazione fino alle commedie colte quattrocentesche.
Il teatro rinascimentale in Italia
Il Rinascimento fu l'età dell'oro della commedia italiana, anche grazie al recupero e alla traduzione nelle diverse lingue volgari, da parte degli umanisti di numerosi testi classici greci e latini (sia testi teatrali che opere teoriche come la Poetica di Aristotele, tradotta per la prima volta in italiano nel 1549).
I generi sviluppati e proposti furono la commedia, la tragedia, il dramma pastorale e, soltanto in seguito il melodramma, i quali ebbero una notevole influenza sul teatro europeo del secolo
La commedia
Uno dei commediografi più rappresentativi del teatro rinascimentale è stato Niccolò Machiavelli; il segretario fiorentino aveva scritto una delle commedie più importanti di questo periodo, La Mandragola (1518), caratterizzata da una carica espressiva e da una linfa inventiva difficilmente eguagliate in seguito, ispirata da riferimenti satirici alla realtà quotidiana dei personaggi e non più necessariamente legati ai tipi della tradizione classica.
Il cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena scrisse un'unica ma interessante commedia esemplare del gusto del periodo: La Calandria (1513), la prima in assoluto scritta in italiano che non derivasse da un precedente testo greco o latino. Fra i molti che si cimentarono in composizioni di testi teatrali si possono citare Donato Giannotti, Annibal Caro e il nobile senese Alessandro Piccolomini.
Fra i primi commediografi molti erano fiorentini come Anton Francesco Grazzini detto Il Lasca, Giovan Battista Cini, Giovan Battista Gelli, Giovan Maria Cecchi e Raffaello Borghini.
Un posto particolare occupano Pietro Aretino, Ludovico Ariosto e Ruzante, che furono tutti intellettuali al servizio delle corti. Per quella estense di Ferrara, Ariosto, oltre Orlando furioso, scriverà delle divertenti commedie come La Cassaria (1508) e La Lena (1528).
Nella Roma di Leone X imperverserà Pietro Aretino con le sue pasquinate ma anche con commedie come La Cortigiana (1525), nella quale trasgredirà molte convenzioni linguistiche e sceniche.
A Roma il teatro venne riscoperto e, per la prima volta, avallato dai papi, che intuiscono la possibilità di strumentalizzarlo a fini politici.
Un caso a parte è rappresentato dalla figura e l'opera di Angelo Beolco detto il Ruzante dal nome del contadino padovano protagonista delle sue opere. La particolarità del teatro di Ruzante, anticipata di qualche anno dall'opera di Andrea Calmo, era quella di introdurre nel teatro italiano, che sino ad allora aveva usato il volgare fiorentino, l'uso del dialetto. Ruzante lavorava alla corte padovana di Alvise Cornaro il quale fece costruire un'apposita scenografia nella sua villa di Padova che fu detta la Loggia del Falconetto dal nome dell'architetto che la ideò, spazio atto alla rappresentazione delle commedie ruzantiane come la Betìa (1525) e l'Anconitana (1535) per citare le più famose fra le commedie di Beolco.
Il teatro in dialetto cominciò a svilupparsi in questo periodo con la Commedia dell'Arte, le sue maschere, come il bergamasco Arlecchino (che poi assumerà come lingua il veneziano) e il napoletano Pulcinella, le sue invenzioni mimiche e gestuali.
La commedia cinquecentesca subì una svolta nel 1582, quando a Parigi venne pubblicato Il Candelaio, di Giordano Bruno ricco di caratteristiche anomale e trasgressive.
La Tragedia e il Dramma pastorale
Anche il teatro tragico trovò un suo spazio; il conte Gian Giorgio Trissino e Torquato Tasso composero tragedie di carattere epico-pastorale, genere a metà strada fra la tragedia e la commedia.La tragedia più rappresentativa di questo periodo, di sapore molto arcadico, fu Il pastor fido (1590) di Giovan Battista Guarini. Anche l' Aminta (1573) di Torquato Tasso è considerato un capolavoro per la sua notevole influenza sulla drammaturgia europea e sul melodramma seicentesco.Un altro frequentatore della teagedia del rinascimento fu Giovanni Rucellai che scrisse le due tragedie: Rosmunda e Oreste.
Questi testi teatrali venivano rappresentate da giovani dilettanti, come le Compagnie della calza dei nobili veneziani, l'Accademia dei Rozzi di Siena o le Confraternite fiorentine: la professionalità dell'attore non era riconosciuta, sebbene la professione esistesse e sviluppò, nel tempo, progressi notevoli dal punto di vista dell'arte drammatica e dell'interpretazione del testo, nonché dell'allestimento scenico, spesse volte a carico delle compagnie girovaghe.
I nuovi spazi recitativi
Con la ripresa del teatro si cominciarono a costruire anche degli spazi atti a contenere scenografie, alle volte anche molto complesse: in questo periodo vennero costruiti nuovi teatri, a cominciare dalla Loggia del Falconetto di Padova già citata, ma l'esempio più eclatante è il Teatro Olimpico di Andrea Palladio che si trova a Vicenza dove ancora oggi viene conservata la scenografia originale cinquecentesca di Vincenzo Scamozzi dell'Edipo re di Sofocle, opera con la quale fu inaugurato il teatro nel 1585.
A Roma il Foro e Castel Sant'Angelo divennero luoghi deputati per le rappresentazioni, solitamente effettuate durante le feste e le celebrazioni.
La riscoperta e valorizzazione degli antichi classici da parte degli umanisti permise lo studio delle opere concernenti il teatro non solo dal punto di vista drammaturgico (nel 1425 Nicolò di Cusa scoprì, ad esempio, nove commedie plautine) ma anche dal punto di vista architettonico: architetti e trattatisti cercarono ispirazione in Vitruvio negli aspetti teatrali del suo trattato sull'architettura romana e adattarono al teatro del Cinquecento i modelli delle scenografie: comica, tragica e pastorale, tripartizione che fu rispettata nelle opere del teatro del Rinascimento.
Commedia dell'arte
La commedia dell'arte è nata in Italia nel XVI secolo e rimasta popolare sino al XVIII secolo. Non si trattava di un genere di rappresentazione teatrale, bensì di una diversa modalità di produzione degli spettacoli. Le rappresentazioni non erano basate su testi scritti ma dei canovacci detti anche scenari, i primi tempi erano tenute all'aperto con una scenografia fatta di pochi oggetti. Le compagnie erano composte da dieci persone: otto uomini e due donne. All'estero era conosciuta come "Commedia italiana".
La definizione di "arte", che significava "mestiere", veniva identificata anche con altri nomi: commedia all'improvviso, commedia a braccio o commedia degli Zanni.
Origine
La prima volta che s'incontra la definizione di commedia dell'arte è nel 1750 nella commedia Il teatro comico di Carlo Goldoni. L'autore veneziano parla di quegli attori che recitano "le commedie dell'arte" usando delle maschere e improvvisano le loro parti, riferendosi al coinvolgimento di attori professionisti (per la prima volta nel Teatro Occidentale abbiamo compagnie di attori professionisti, non più dunque dilettanti), ed usa la parola "arte" nell'accezione di professione, mestiere, ovvero l'insieme di quanti esercitano tale professione. Commedia dell'arte dunque come "commedia della professione" o "dei professionisti". In effetti in italiano il termine "arte" aveva due significati: quello di opera dell'ingegno ma anche quello di mestiere, lavoro, professione (le Corporazioni delle arti e mestieri).
Il trapasso dalla commedia rinascimentale, umanistica ed erudita recitata da attori dilettanti a quella dell'arte avviene tra la fine del XVI e l'inizio del XVII secolo grazie ad una serie di contingenze fortunate che si susseguono intorno a quegli anni.
La prima è la nascita dei teatri privati, specialmente a Venezia dove le famiglie nobili iniziano una politica di diffusione, all'interno della città, di nuovi spazi spettacolari dedicati alla recitazione di commedie e melodrammi a pagamento.
La nascita dei teatri dette nuovo impulso all'arte dell'attore che da giocoliere di strada, saltatore di corda o buffone di corte che fosse cominciò a esibirsi in trame più complesse; per questo alcuni attori di strada cominciarono a strutturarsi in compagnie girovaghe: le "Fraternal Compagnie" dell'inizio si trasformarono in vere e proprie compagnie che partecipavano ai proventi di questa nuova industria.
La recitazione assunse una nuova struttura e i testi da recitare si limitavano ad un canovaccio, dove veniva data una narrazione di massima indicativa di ciò che sarebbe successo sul palco. Su questo tratto dell'improvvisazione gli storici del teatro si sono spesso divisi: non per tutti l'improvvisazione era il tratto distintivo delle commedie degli Zanni, ma su questo era stata creata una mitologia dell'attore "puro" e completamente padrone dei suoi mezzi, tanto da non aver nessun bisogno di parti recitate.
Dalla strada provengono le forme embrionali dei soggetti comici, i cosiddetti duetti fra Magnifico e Zanni.Questi soggetti erano mutuati dalla grande produzione popolare.I contrasti comici facevano parte della tradizione giullaresca ed erano diffusi sia nelle piazze e nelle fiere che nei palazzi nobili e le corti sin dal '400.
Il passaggio dalla piazza al teatro avviene non senza l'influenza di certe commedie erudite del primo Cinquecento come quelle di Machiavelli e Ruzante.
Ancora nobili dilettanti furono gli autori e gli attori della Commedia ridicolosa, la versione cortigiana della commedia dell'arte che sostituì, in parte, quest'ultima dopo la partenza dei maggiori attori italiani verso nuovi lidi come Parigi, Vienna, la penisola iberica e la Moscovia mettendo in scena le maschere della commedia improvvisa.
La struttura
In Italia, questo tipo di spettacolo sostituì tout court la commedia erudita del quattro-cinquecento, ma non soltanto questa: anche molte tragedie e pastorali, infatti, furono invase dalla presenza delle maschere.
Arlecchino e gli altri zanni si trasformavano, in queste occasioni, in servi del tiranno o pastori arcadici, portando sempre e comunque il loro spirito irriverente di buffoni di corte o quello dei poveri diavoli come già avevano fatto i giocolieri nelle sacre rappresentazioni medievali.
Goldoni riporta spesso nelle sue memorie alcuni lazzi, che nel Settecento ormai si erano consolidati.
Goldoni, di fronte a questi inserimenti comici, inorridisce e li riporta nelle sue memorie soltanto per dimostrare la decadenza del teatro italiano all'inizio della sua carriera (intorno al 1730) e sostenendo la necessità di una riforma che sostituisca la vecchia struttura del teatro mascherato con un nuovo teatro più vicino al naturale e con personaggi senza maschere.
Nonostante l'impegno teorico di Goldoni, la commedia dell'arte è ancora ben viva nel cuore degli spettatori suoi contemporanei tanto in Italia, dov'era nata, che nelle principali corti europee dov'era diffusa con nome di commedia italiana e rappresentava, insieme al melodramma, la fortuna dell'arte dello spettacolo italiano.
Nel 1750 Goldoni scrisse e fece rappresentare Il teatro comico, la sua commedia-manifesto, che metteva a confronto le due tipologie di teatro, quello dell'arte e la sua commedia “riformata”, cercando di far accettare sia alle compagnie che agli spettatori la novità di una commedia naturalistica che reggesse il passo con le novità del resto d'Europa come Shakespeare, che nel '700 cominciò ad essere esportato anche fuori dall'Inghilterra grazie alla bravura di uno dei suoi più eccellenti interpreti di tutti i tempi: David Garrick, o le ultime commedie di Molière che, pur figlie spurie della commedia italiana, cominciavano un cammino d'identità propria che si sviluppò sino a Beaumarchais e alla commedia “rivoluzionaria” di Diderot. Ciò non toglie che ambedue gli autori, sia Molière che Shakespeare, abbiano sentito forte l'influsso dei commedianti italiani.
Molière, in particolare, è stato allievo di Tiberio Fiorilli in arte Scaramuccia, poi diventato Scaramouche; e alcuni personaggi shakespeariani sono zanni “all'italiana” dei quali usano gli stessi lazzi e battute.
Non si sa se Shakespeare vide mai una commedia dell'arte ma ne subì comunque il fascino, dato che il suo amico-avversario Ben Jonson, altro grande autore del teatro elisabettiano, mise in scena Il Volpone la migliore versione inglese del teatro dell'arte all'italiana.
Il canovaccio
I testi che ci sono giunti in forma di canovacci sono numerosi e coprono l'arco di due secoli, da quelli di Flaminio Scala del Teatro delle favole rappresentative, pubblicato nel 1611 all'ultima opera teatrale scritta e pubblicata"L'Amore delle tre melarance di Carlo Gozzi" del 1761. Il Gozzi fu acerrimo nemico della riforma di Goldoni e sostenitore della Commedia dell'Arte secentesca ma lasciò L'Amore delle tre melarance stampato sotto forma di canovaccio, un evidente omaggio agi attori-drammaturghi dell'Età dell'oro della Commedia dell'Arte che lo avevano preceduto.
Spazi teatrali e recitazione
Le scenografie erano molto semplici, con una piazza al centro del palcoscenico e due quinte praticabili sullo stile di quelle delle prime commedie del '500: alla metà del secolo vennero costruiti dei veri e propri spazi teatrali dedicati a questo genere teatrale.
Sorsero dunque, nelle principali città italiane, i Teatri degli Zanni dei quali sono rimasti alcuni esempi non più funzionanti come il Teatrino della Baldracca a Firenze, il Teatro di Porta Tosa a Milano e l'ancora funzionante San Carlino a Napoli.
A Parigi, che ospitò i comici dell'arte fin dal primo '600, le compagnie si esibivano all'Hotel de Bourgogne e in seguito nei Teatri della Foire.
Le maschere
L'artigianato della maschera da commedia riprende vita nel '900 a ridosso dell'esperienza strehleriana. Amleto Sartori, scultore, re-inventa la tecnica di costruzione della maschera in cuoio su stampo di legno. La maschera, che insieme al costume caratterizza fortemente lo stile di recitazione, viene spesso ad essere sinonimo stesso di personaggio. Le 'maschere' più celebri della commedia dell'arte sono:
Arlecchino
Brighella
Colombina
Balanzone
Pulcinella
Pantalone
Giangurgolo
Meneghino
Scaramuccia
Truffaldino
Rosaura
Beltrame
Il teatro del 500 o rinascimentale è l'insieme dei generi drammaturgici e delle diverse forme di rappresentazione teatrale scritti e praticati in Europa tra la fine del medioevo e l'inizio dell'età moderna
In questo periodo si assiste ad un fenomeno di rinascita del teatro, preparata dalla lunga tradizione teatrale medioevale che si era manifestata nelle corti, nelle piazze e nelle università in molteplici forme, dalla sacra rappresentazione fino alle commedie colte quattrocentesche.
Il teatro rinascimentale in Italia
Il Rinascimento fu l'età dell'oro della commedia italiana, anche grazie al recupero e alla traduzione nelle diverse lingue volgari, da parte degli umanisti di numerosi testi classici greci e latini (sia testi teatrali che opere teoriche come la Poetica di Aristotele, tradotta per la prima volta in italiano nel 1549).
I generi sviluppati e proposti furono la commedia, la tragedia, il dramma pastorale e, soltanto in seguito il melodramma, i quali ebbero una notevole influenza sul teatro europeo del secolo
La commedia
Uno dei commediografi più rappresentativi del teatro rinascimentale è stato Niccolò Machiavelli; il segretario fiorentino aveva scritto una delle commedie più importanti di questo periodo, La Mandragola (1518), caratterizzata da una carica espressiva e da una linfa inventiva difficilmente eguagliate in seguito, ispirata da riferimenti satirici alla realtà quotidiana dei personaggi e non più necessariamente legati ai tipi della tradizione classica.
Il cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena scrisse un'unica ma interessante commedia esemplare del gusto del periodo: La Calandria (1513), la prima in assoluto scritta in italiano che non derivasse da un precedente testo greco o latino. Fra i molti che si cimentarono in composizioni di testi teatrali si possono citare Donato Giannotti, Annibal Caro e il nobile senese Alessandro Piccolomini.
Fra i primi commediografi molti erano fiorentini come Anton Francesco Grazzini detto Il Lasca, Giovan Battista Cini, Giovan Battista Gelli, Giovan Maria Cecchi e Raffaello Borghini.
Un posto particolare occupano Pietro Aretino, Ludovico Ariosto e Ruzante, che furono tutti intellettuali al servizio delle corti. Per quella estense di Ferrara, Ariosto, oltre Orlando furioso, scriverà delle divertenti commedie come La Cassaria (1508) e La Lena (1528).
Nella Roma di Leone X imperverserà Pietro Aretino con le sue pasquinate ma anche con commedie come La Cortigiana (1525), nella quale trasgredirà molte convenzioni linguistiche e sceniche.
A Roma il teatro venne riscoperto e, per la prima volta, avallato dai papi, che intuiscono la possibilità di strumentalizzarlo a fini politici.
Un caso a parte è rappresentato dalla figura e l'opera di Angelo Beolco detto il Ruzante dal nome del contadino padovano protagonista delle sue opere. La particolarità del teatro di Ruzante, anticipata di qualche anno dall'opera di Andrea Calmo, era quella di introdurre nel teatro italiano, che sino ad allora aveva usato il volgare fiorentino, l'uso del dialetto. Ruzante lavorava alla corte padovana di Alvise Cornaro il quale fece costruire un'apposita scenografia nella sua villa di Padova che fu detta la Loggia del Falconetto dal nome dell'architetto che la ideò, spazio atto alla rappresentazione delle commedie ruzantiane come la Betìa (1525) e l'Anconitana (1535) per citare le più famose fra le commedie di Beolco.
Il teatro in dialetto cominciò a svilupparsi in questo periodo con la Commedia dell'Arte, le sue maschere, come il bergamasco Arlecchino (che poi assumerà come lingua il veneziano) e il napoletano Pulcinella, le sue invenzioni mimiche e gestuali.
La commedia cinquecentesca subì una svolta nel 1582, quando a Parigi venne pubblicato Il Candelaio, di Giordano Bruno ricco di caratteristiche anomale e trasgressive.
La Tragedia e il Dramma pastorale
Anche il teatro tragico trovò un suo spazio; il conte Gian Giorgio Trissino e Torquato Tasso composero tragedie di carattere epico-pastorale, genere a metà strada fra la tragedia e la commedia.La tragedia più rappresentativa di questo periodo, di sapore molto arcadico, fu Il pastor fido (1590) di Giovan Battista Guarini. Anche l' Aminta (1573) di Torquato Tasso è considerato un capolavoro per la sua notevole influenza sulla drammaturgia europea e sul melodramma seicentesco.Un altro frequentatore della teagedia del rinascimento fu Giovanni Rucellai che scrisse le due tragedie: Rosmunda e Oreste.
Questi testi teatrali venivano rappresentate da giovani dilettanti, come le Compagnie della calza dei nobili veneziani, l'Accademia dei Rozzi di Siena o le Confraternite fiorentine: la professionalità dell'attore non era riconosciuta, sebbene la professione esistesse e sviluppò, nel tempo, progressi notevoli dal punto di vista dell'arte drammatica e dell'interpretazione del testo, nonché dell'allestimento scenico, spesse volte a carico delle compagnie girovaghe.
I nuovi spazi recitativi
Con la ripresa del teatro si cominciarono a costruire anche degli spazi atti a contenere scenografie, alle volte anche molto complesse: in questo periodo vennero costruiti nuovi teatri, a cominciare dalla Loggia del Falconetto di Padova già citata, ma l'esempio più eclatante è il Teatro Olimpico di Andrea Palladio che si trova a Vicenza dove ancora oggi viene conservata la scenografia originale cinquecentesca di Vincenzo Scamozzi dell'Edipo re di Sofocle, opera con la quale fu inaugurato il teatro nel 1585.
A Roma il Foro e Castel Sant'Angelo divennero luoghi deputati per le rappresentazioni, solitamente effettuate durante le feste e le celebrazioni.
La riscoperta e valorizzazione degli antichi classici da parte degli umanisti permise lo studio delle opere concernenti il teatro non solo dal punto di vista drammaturgico (nel 1425 Nicolò di Cusa scoprì, ad esempio, nove commedie plautine) ma anche dal punto di vista architettonico: architetti e trattatisti cercarono ispirazione in Vitruvio negli aspetti teatrali del suo trattato sull'architettura romana e adattarono al teatro del Cinquecento i modelli delle scenografie: comica, tragica e pastorale, tripartizione che fu rispettata nelle opere del teatro del Rinascimento.
Commedia dell'arte
La commedia dell'arte è nata in Italia nel XVI secolo e rimasta popolare sino al XVIII secolo. Non si trattava di un genere di rappresentazione teatrale, bensì di una diversa modalità di produzione degli spettacoli. Le rappresentazioni non erano basate su testi scritti ma dei canovacci detti anche scenari, i primi tempi erano tenute all'aperto con una scenografia fatta di pochi oggetti. Le compagnie erano composte da dieci persone: otto uomini e due donne. All'estero era conosciuta come "Commedia italiana".
La definizione di "arte", che significava "mestiere", veniva identificata anche con altri nomi: commedia all'improvviso, commedia a braccio o commedia degli Zanni.
Origine
La prima volta che s'incontra la definizione di commedia dell'arte è nel 1750 nella commedia Il teatro comico di Carlo Goldoni. L'autore veneziano parla di quegli attori che recitano "le commedie dell'arte" usando delle maschere e improvvisano le loro parti, riferendosi al coinvolgimento di attori professionisti (per la prima volta nel Teatro Occidentale abbiamo compagnie di attori professionisti, non più dunque dilettanti), ed usa la parola "arte" nell'accezione di professione, mestiere, ovvero l'insieme di quanti esercitano tale professione. Commedia dell'arte dunque come "commedia della professione" o "dei professionisti". In effetti in italiano il termine "arte" aveva due significati: quello di opera dell'ingegno ma anche quello di mestiere, lavoro, professione (le Corporazioni delle arti e mestieri).
Il trapasso dalla commedia rinascimentale, umanistica ed erudita recitata da attori dilettanti a quella dell'arte avviene tra la fine del XVI e l'inizio del XVII secolo grazie ad una serie di contingenze fortunate che si susseguono intorno a quegli anni.
La prima è la nascita dei teatri privati, specialmente a Venezia dove le famiglie nobili iniziano una politica di diffusione, all'interno della città, di nuovi spazi spettacolari dedicati alla recitazione di commedie e melodrammi a pagamento.
La nascita dei teatri dette nuovo impulso all'arte dell'attore che da giocoliere di strada, saltatore di corda o buffone di corte che fosse cominciò a esibirsi in trame più complesse; per questo alcuni attori di strada cominciarono a strutturarsi in compagnie girovaghe: le "Fraternal Compagnie" dell'inizio si trasformarono in vere e proprie compagnie che partecipavano ai proventi di questa nuova industria.
La recitazione assunse una nuova struttura e i testi da recitare si limitavano ad un canovaccio, dove veniva data una narrazione di massima indicativa di ciò che sarebbe successo sul palco. Su questo tratto dell'improvvisazione gli storici del teatro si sono spesso divisi: non per tutti l'improvvisazione era il tratto distintivo delle commedie degli Zanni, ma su questo era stata creata una mitologia dell'attore "puro" e completamente padrone dei suoi mezzi, tanto da non aver nessun bisogno di parti recitate.
Dalla strada provengono le forme embrionali dei soggetti comici, i cosiddetti duetti fra Magnifico e Zanni.Questi soggetti erano mutuati dalla grande produzione popolare.I contrasti comici facevano parte della tradizione giullaresca ed erano diffusi sia nelle piazze e nelle fiere che nei palazzi nobili e le corti sin dal '400.
Il passaggio dalla piazza al teatro avviene non senza l'influenza di certe commedie erudite del primo Cinquecento come quelle di Machiavelli e Ruzante.
Ancora nobili dilettanti furono gli autori e gli attori della Commedia ridicolosa, la versione cortigiana della commedia dell'arte che sostituì, in parte, quest'ultima dopo la partenza dei maggiori attori italiani verso nuovi lidi come Parigi, Vienna, la penisola iberica e la Moscovia mettendo in scena le maschere della commedia improvvisa.
La struttura
In Italia, questo tipo di spettacolo sostituì tout court la commedia erudita del quattro-cinquecento, ma non soltanto questa: anche molte tragedie e pastorali, infatti, furono invase dalla presenza delle maschere.
Arlecchino e gli altri zanni si trasformavano, in queste occasioni, in servi del tiranno o pastori arcadici, portando sempre e comunque il loro spirito irriverente di buffoni di corte o quello dei poveri diavoli come già avevano fatto i giocolieri nelle sacre rappresentazioni medievali.
Goldoni riporta spesso nelle sue memorie alcuni lazzi, che nel Settecento ormai si erano consolidati.
Goldoni, di fronte a questi inserimenti comici, inorridisce e li riporta nelle sue memorie soltanto per dimostrare la decadenza del teatro italiano all'inizio della sua carriera (intorno al 1730) e sostenendo la necessità di una riforma che sostituisca la vecchia struttura del teatro mascherato con un nuovo teatro più vicino al naturale e con personaggi senza maschere.
Nonostante l'impegno teorico di Goldoni, la commedia dell'arte è ancora ben viva nel cuore degli spettatori suoi contemporanei tanto in Italia, dov'era nata, che nelle principali corti europee dov'era diffusa con nome di commedia italiana e rappresentava, insieme al melodramma, la fortuna dell'arte dello spettacolo italiano.
Nel 1750 Goldoni scrisse e fece rappresentare Il teatro comico, la sua commedia-manifesto, che metteva a confronto le due tipologie di teatro, quello dell'arte e la sua commedia “riformata”, cercando di far accettare sia alle compagnie che agli spettatori la novità di una commedia naturalistica che reggesse il passo con le novità del resto d'Europa come Shakespeare, che nel '700 cominciò ad essere esportato anche fuori dall'Inghilterra grazie alla bravura di uno dei suoi più eccellenti interpreti di tutti i tempi: David Garrick, o le ultime commedie di Molière che, pur figlie spurie della commedia italiana, cominciavano un cammino d'identità propria che si sviluppò sino a Beaumarchais e alla commedia “rivoluzionaria” di Diderot. Ciò non toglie che ambedue gli autori, sia Molière che Shakespeare, abbiano sentito forte l'influsso dei commedianti italiani.
Molière, in particolare, è stato allievo di Tiberio Fiorilli in arte Scaramuccia, poi diventato Scaramouche; e alcuni personaggi shakespeariani sono zanni “all'italiana” dei quali usano gli stessi lazzi e battute.
Non si sa se Shakespeare vide mai una commedia dell'arte ma ne subì comunque il fascino, dato che il suo amico-avversario Ben Jonson, altro grande autore del teatro elisabettiano, mise in scena Il Volpone la migliore versione inglese del teatro dell'arte all'italiana.
Il canovaccio
I testi che ci sono giunti in forma di canovacci sono numerosi e coprono l'arco di due secoli, da quelli di Flaminio Scala del Teatro delle favole rappresentative, pubblicato nel 1611 all'ultima opera teatrale scritta e pubblicata"L'Amore delle tre melarance di Carlo Gozzi" del 1761. Il Gozzi fu acerrimo nemico della riforma di Goldoni e sostenitore della Commedia dell'Arte secentesca ma lasciò L'Amore delle tre melarance stampato sotto forma di canovaccio, un evidente omaggio agi attori-drammaturghi dell'Età dell'oro della Commedia dell'Arte che lo avevano preceduto.
Spazi teatrali e recitazione
Le scenografie erano molto semplici, con una piazza al centro del palcoscenico e due quinte praticabili sullo stile di quelle delle prime commedie del '500: alla metà del secolo vennero costruiti dei veri e propri spazi teatrali dedicati a questo genere teatrale.
Sorsero dunque, nelle principali città italiane, i Teatri degli Zanni dei quali sono rimasti alcuni esempi non più funzionanti come il Teatrino della Baldracca a Firenze, il Teatro di Porta Tosa a Milano e l'ancora funzionante San Carlino a Napoli.
A Parigi, che ospitò i comici dell'arte fin dal primo '600, le compagnie si esibivano all'Hotel de Bourgogne e in seguito nei Teatri della Foire.
Le maschere
L'artigianato della maschera da commedia riprende vita nel '900 a ridosso dell'esperienza strehleriana. Amleto Sartori, scultore, re-inventa la tecnica di costruzione della maschera in cuoio su stampo di legno. La maschera, che insieme al costume caratterizza fortemente lo stile di recitazione, viene spesso ad essere sinonimo stesso di personaggio. Le 'maschere' più celebri della commedia dell'arte sono:
Arlecchino
Brighella
Colombina
Balanzone
Pulcinella
Pantalone
Giangurgolo
Meneghino
Scaramuccia
Truffaldino
Rosaura
Beltrame
MOLIERE
MOLIERE
Jean Baptiste Poquelin nacque a Parigi ai primi del gennaio del 1621, da una famiglia borghese originaria dei Beauvais.
In seguito, nel 1633, il padre si sposò con Catherine Fleurette, la quale morì nel 1636. L'infanzia del piccolo fu segnata da lutti ed inquietudini, che però spiegano solo in parte il fondo di tristezza del suo umore e la rarità dei ruoli materni nel suo teatro. Nella fanciullezza furono, invece, fondamentali la vivacità popolare, l'animazione, il rumore, l'accanito lavoro oltre agli spettacoli con i quali da piccolo fu ogni giorno a contatto grazie alla passione che gli fu infusa dal nonno materno.
Nel quartiere di Halles, dove visse, il vivace spirito di Poquelin poté impregnarsi del senso di una vita formicolante, dello scherzo pittoresco e della varietà della realtà umana. Il padre gli permise scuole molto più prestigiose di quelle destinate ai figli degli altri commercianti, infatti compì i suoi studi dal 1635 al 1639 al Collège de Clermont, collegio di gesuiti, considerato il migliore della capitale e frequentato da nobili e ricchi borghesi. Qui egli imparò la filosofia scolastica, il latino ed una perfetta padronanza della retorica.
Nel 1641 porta a termine gli studi di diritto, ottenendo la Licenza in diritto ad Orléans. Comincia a frequentare gli ambienti teatrali, conosce il famoso Scaramuccia Tiberio Fiorilli e intrattiene una relazione con la ventiduenne Madeleine Béjart, giovane attrice. Con l'aiuto di tale donna colta e capace di condurre con intelligenza i propri affari, leale e devota, organizzò una loro compagnia che servì a Molière per capire la propria vocazione di attore.
Nel 1643 Madeleine dà alla luce Armande Béjart, futura sposa del drammaturgo. Il 30 giugno 1643, firmò il contratto che costituì una troupe teatrale di dieci membri, l'Illustre Théâtre, di cui facevano parte Madeleine Béjart, il fratello Joseph e la sorella Geneviève.
La piccola compagnia prese in affitto il Jeu de Paume des Métayers ("sala dei mezzadri") di Parigi, e nell'attesa della conclusione del lavori per adattare la sala alle rappresentazioni teatrali si stabilì a Rouen, inscenando spettacoli di ogni tipo, dalle tragedie alle farse. Il 1 gennaio del 1644 l'Illustre Théatre debutta nella capitale. Il pubblico tuttavia non rispose a dovere; iniziarono ad accumularsi debiti sino all'arresto di Molière per insolvenza, quindi la compagnia nel 1645 si sciolse. Una volta liberato per l'interessamento del padre e di Madeleine, lui ed alcuni membri della compagnia abbandonarono la capitale francese.
Dal 1645 al 1658 con i suoi compagni lavorò come attore ambulante con la compagnia di Charles Dufresne, rinomata e finanziata dal duca di Epernon. Nel 1650 Molière ottenne la direzione della troupe che iniziò a fare le sue rappresentazioni a Pézenas e nel sud della Francia.
A partire dal 1652 la compagnia, ormai ben affermata, iniziò ad avere un pubblico regolare a Lione.
Durante questo girovagare conobbe bene l'ambiente della provincia, ma soprattutto imparò a fare l'attore ed a capire i gusti del pubblico e le sue reazioni. In questo periodo iniziò a scrivere alcune farse e commedie.
Nel 1658 tornò a Parigi dopo un soggiorno a Rouen con la sua compagnia, la Troupe de Monsieur, nome accordatole da Filippo d'Orléans.
Il 24 ottobre di quell'anno recitarono davanti al re Luigi XIV, il quale si entusiasmò solo con la farsa Il dottore amoroso (Le Docteur amoureux), scritta da Molière (il testo fu ritrovato e pubblicato nel 1960). La compagnia venne autorizzata ad occupare, alternandosi con la troupe degli Italiani, il teatro del Petit-Bourbon, e quando nel 1659 gli Italiani se ne andarono, lo stesso teatro fu a sua completa disposizione. Iniziò così a mettere in scena delle tragedie ma con scarso successo.
Scrisse anche un'opera che non fu né una tragedia né una commedia, il Don Garcia de Navarre, incentrata sul tema della gelosia, ma fu un fiasco. Molière allora capì che la commedia era la sua aspirazione ed in questo genere eccelse già con la prima opera Le preziose ridicole (Les précieuses ridicules), nel 1659. In questa mise in luce gli effetti comici di una precisa realtà contemporanea, le bizzarrie tipiche della vita mondana e ne ridicolizzò le espressioni ed il linguaggio. Tutto ciò provocò l'interruzione delle rappresentazioni per qualche giorno, ma gli inviti a corte e nelle case dei grandi signori si susseguirono ugualmente.
Nel 1660 vi fu il gran successo di Sganarello o il cornuto immaginario. Nel frattempo il re fece prontamente assegnare alla compagnia la sala del Palais-Royal, ed in giugno vi fu la presentazione de La scuola dei mariti (École des maris).
In onore ad una festa offerta a Luigi XIV, in quindici giorni Molière scrisse e mise in scena la commedia Gli importuni (Fâcheux). Il 20 febbraio 1662, sposò Armande Béjart ufficialmente sorella, ma quasi sicuramente figlia, di Madeleine, ed anch'essa entrò a far parte della troupe. In dicembre, venne rappresentata La scuola delle mogli (École des femmes) che superò in successo ed in valore tutte le commedie precedenti. L'opera portò tuttavia allo scontro con i rigoristi cristiani.
Tra il 1667 e 1668, ispirandosi alla commedia in prosa di Tito Maccio Plauto, Aulularia, e prendendo spunti anche da altre commedie (I suppositi dell'Ariosto; L'Avare dupé di Chappuzeau, del 1663; La Belle plaideuse di Boisrobert, del 1654; La Mère coquette di Donneau de Vizé, del 1666) scrive L'avaro (L'Avare ou l'École du mensonge) che viene rappresentato per la prima volta a Parigi, al Palais-Royal il 9 settembre 1668.
Buon amico degli attori italiani, discepolo del napoletano Tiberio Fiorilli (il popolare Scaramouche), l'attore Molière ha "collaborato" con il commediografo, ha contribuito a dargli il senso pratico del teatro, le risorse del mestiere, la conoscenza delle esigenze della scena e dei pubblico.
Nel 1673, anno della morte del drammaturgo, la sua compagnia l'Illustre Theatre assorbe i resti di quella del Teatro di Marais e nel 1680, a sette anni dalla morte di Molière, il re, con un ordine speciale, sancisce la fusione con l'Hotel de Bougogne, dando vita all'inizio della Comédie Française, con casa all'Hotel Guénégaud.
Molière morì il 17 febbraio 1673 di tubercolosi mentre recitava Il malato immaginario, prima di morire aveva recitato a fatica, coprì la tosse - si dice - con una risata forzata, e morì tra le braccia di due suore che lo avevano accompagnato a casa. Da qui nasce la superstizione di non indossare, in Francia, il verde in scena, in quanto egli indossava un abito dello stesso colore. In Italia la superstizione si basa, invece, sul colore viola, che si dice fosse il colore dell'abito di scena del Molière nel momento della sua morte, vera e recitata, nell'ultima scena teatrale.
Il divieto di inumazione cattolica per gli attori e commedianti che vigeva all'epoca fu aggirato, su intercessione del Re presso l'Arcivescovo, con la sepoltura di Molière nel cimitero di Saint-Eustache, ma ad una profondità di più di quattro piedi, misura che fissava l'estensione in profondità della terra consacrata. Oggi la tomba di Molière si trova nel famoso cimitero parigino di Père-Lachaise, proprio accanto alla tomba di Jean de La Fontaine.
Opere Principali
Il medico volante, Le Médecin volant (1645)
La gelosia dell'impiastricciato, La Jalousie du barbouillé (1650)
Lo stordito, L'Étourdi ou les Contretemps (1655)
Il dispetto amoroso, Le Dépit amoureux (16 dicembre 1656)
Il dottore innamorato, Le Docteur amoureux (1658)
Le preziose ridicole, Les Précieuses ridicules (18 novembre 1659)
Sganarello o il cornuto immaginario, Sganarelle ou le Cocu imaginaire (28 maggio 1660)
Don Garcia di Navarra o il principe geloso, Dom Garcie de Navarre ou le Prince jaloux (4 febbraio 1661)
La scuola dei mariti, L'École des maris (24 giugno 1661)
Gli importuni, Les Fâcheux (17 agosto 1661)
La scuola delle mogli, L'École des femmes (26 dicembre 1662)
La gelosia di Gros-René, La Jalousie du Gros-René (15 aprile 1663)
La critica alla scuola delle mogli, La Critique de l'école des femmes (1 giugno 1663)
L'improvvisazione di Versailles, L'Impromptu de Versailles (14 ottobre 1663)
Il matrimonio forzato, Le Mariage forcé (29 gennaio 1664)
Gros-René, petit enfant 27 aprile 1664
La principessa d'Elide, La Princesse d'Élide (8 maggio 1664)
Il Tartufo, Tartuffe ou l'Imposteur (12 maggio 1664)
Don Giovanni o il convitato di pietra, Dom Juan ou le Festin de pierre (15 febbraio 1665)
L'amore medico, L'Amour médecin (15 settembre 1665)
Il misantropo, Le Misanthrope ou l'Atrabilaire amoureux (1666)
Il medico per forza, Le Médecin malgré lui (6 agosto 1666)
Melicerta, Mélicerte (2 dicembre 1666)
Pastorale comica, Pastorale comique (5 gennaio 1667)
Il siciliano o l'amor pittore, Le Sicilien ou l'Amour peintre (14 febbraio 1667)
Anfitrione, Amphitryon (13 gennaio 1668)
George Dandin o il marito confuso, George Dandin ou le Mari confondu (18 luglio 1668)
L'avaro, L'Avare ou l'École du mensonge (9 settembre 1668)
Il signor di Pourceaugnac, Monsieur de Pourceaugnac (6 ottobre 1669)
I favolosi amanti, Les Amants magnifiques (4 febbraio 1670)
Il borghese gentiluomo, Le Bourgeois Gentilhomme (14 ottobre 1670)
Psiche, Psyché (17 gennaio 1671)
Le furberie di Scapino, Les Fourberies de Scapin (24 maggio 1671)
La Contessa d'Escarbagnas, La Comtesse d'Escarbagnas (2 dicembre 1671)
Le donne intellettuali oppure Le femmine saccenti, Les Femmes Savantes (11 marzo 1672)
Il malato immaginario, Le Malade imaginaire (10 febbraio 1673)
Poetica
Molière, attore e allo stesso tempo drammaturgo, ricercò uno stile di scrittura e recitazione meno legato alle convenzioni dell'epoca, e proteso verso una naturalezza realistica, che descrivesse al meglio le situazioni e la psicologia dei personaggi. Queste idee, che si realizzeranno in seguito nel teatro borghese, cominciano ad emergere con forza ne La scuola delle mogli e ne Il misantropo. Un nuovo stile che Molière accompagna con una critica feroce della morale dell'epoca. La sua acuta osservazione della realtà fu spesso per Molière fonte di guai, specialmente quando i nobili oggetto delle sue satire si riconoscevano nei suoi personaggi. È nota la reazione del duca di La Feuillade, riconosciutosi nel Marchese della Critica alla scuola delle mogli. Simili incidenti accaddero con Monsieur d'Armagnac, scudiero di Francia, e con il duca di Montasieur, precettore del Delfino, che minacciò di bastonarlo a morte per averlo preso a modello nel creare il personaggio di Alceste, il misantropo, salvo poi cambiare idea e ringraziarlo dell'onore concessogli.
L'aspirazione di Molière, spesso costretto a scrivere commedie-balletto per compiacere ai gusti del re, fu quella di dedicarsi a sviluppare un nuovo tipo di commedia, che porterà in seguito alla nascita della commedia di costume moderna, ispirata agli accadimenti quotidiani, scritta in prosa e che obbedisca alla verosimiglianza. Molière può essere considerato a tutti gli effetti il precursore di quel rinnovamento teatrale che comincerà ad esprimersi compiutamente un secolo dopo, con Carlo Goldoni, fino a raggiungere la piena maturità nel teatro di Anton Čechov. Anche Dario Fo lo ha spesso indicato tra i suoi maestri e modelli.
Jean Baptiste Poquelin nacque a Parigi ai primi del gennaio del 1621, da una famiglia borghese originaria dei Beauvais.
In seguito, nel 1633, il padre si sposò con Catherine Fleurette, la quale morì nel 1636. L'infanzia del piccolo fu segnata da lutti ed inquietudini, che però spiegano solo in parte il fondo di tristezza del suo umore e la rarità dei ruoli materni nel suo teatro. Nella fanciullezza furono, invece, fondamentali la vivacità popolare, l'animazione, il rumore, l'accanito lavoro oltre agli spettacoli con i quali da piccolo fu ogni giorno a contatto grazie alla passione che gli fu infusa dal nonno materno.
Nel quartiere di Halles, dove visse, il vivace spirito di Poquelin poté impregnarsi del senso di una vita formicolante, dello scherzo pittoresco e della varietà della realtà umana. Il padre gli permise scuole molto più prestigiose di quelle destinate ai figli degli altri commercianti, infatti compì i suoi studi dal 1635 al 1639 al Collège de Clermont, collegio di gesuiti, considerato il migliore della capitale e frequentato da nobili e ricchi borghesi. Qui egli imparò la filosofia scolastica, il latino ed una perfetta padronanza della retorica.
Nel 1641 porta a termine gli studi di diritto, ottenendo la Licenza in diritto ad Orléans. Comincia a frequentare gli ambienti teatrali, conosce il famoso Scaramuccia Tiberio Fiorilli e intrattiene una relazione con la ventiduenne Madeleine Béjart, giovane attrice. Con l'aiuto di tale donna colta e capace di condurre con intelligenza i propri affari, leale e devota, organizzò una loro compagnia che servì a Molière per capire la propria vocazione di attore.
Nel 1643 Madeleine dà alla luce Armande Béjart, futura sposa del drammaturgo. Il 30 giugno 1643, firmò il contratto che costituì una troupe teatrale di dieci membri, l'Illustre Théâtre, di cui facevano parte Madeleine Béjart, il fratello Joseph e la sorella Geneviève.
La piccola compagnia prese in affitto il Jeu de Paume des Métayers ("sala dei mezzadri") di Parigi, e nell'attesa della conclusione del lavori per adattare la sala alle rappresentazioni teatrali si stabilì a Rouen, inscenando spettacoli di ogni tipo, dalle tragedie alle farse. Il 1 gennaio del 1644 l'Illustre Théatre debutta nella capitale. Il pubblico tuttavia non rispose a dovere; iniziarono ad accumularsi debiti sino all'arresto di Molière per insolvenza, quindi la compagnia nel 1645 si sciolse. Una volta liberato per l'interessamento del padre e di Madeleine, lui ed alcuni membri della compagnia abbandonarono la capitale francese.
Dal 1645 al 1658 con i suoi compagni lavorò come attore ambulante con la compagnia di Charles Dufresne, rinomata e finanziata dal duca di Epernon. Nel 1650 Molière ottenne la direzione della troupe che iniziò a fare le sue rappresentazioni a Pézenas e nel sud della Francia.
A partire dal 1652 la compagnia, ormai ben affermata, iniziò ad avere un pubblico regolare a Lione.
Durante questo girovagare conobbe bene l'ambiente della provincia, ma soprattutto imparò a fare l'attore ed a capire i gusti del pubblico e le sue reazioni. In questo periodo iniziò a scrivere alcune farse e commedie.
Nel 1658 tornò a Parigi dopo un soggiorno a Rouen con la sua compagnia, la Troupe de Monsieur, nome accordatole da Filippo d'Orléans.
Il 24 ottobre di quell'anno recitarono davanti al re Luigi XIV, il quale si entusiasmò solo con la farsa Il dottore amoroso (Le Docteur amoureux), scritta da Molière (il testo fu ritrovato e pubblicato nel 1960). La compagnia venne autorizzata ad occupare, alternandosi con la troupe degli Italiani, il teatro del Petit-Bourbon, e quando nel 1659 gli Italiani se ne andarono, lo stesso teatro fu a sua completa disposizione. Iniziò così a mettere in scena delle tragedie ma con scarso successo.
Scrisse anche un'opera che non fu né una tragedia né una commedia, il Don Garcia de Navarre, incentrata sul tema della gelosia, ma fu un fiasco. Molière allora capì che la commedia era la sua aspirazione ed in questo genere eccelse già con la prima opera Le preziose ridicole (Les précieuses ridicules), nel 1659. In questa mise in luce gli effetti comici di una precisa realtà contemporanea, le bizzarrie tipiche della vita mondana e ne ridicolizzò le espressioni ed il linguaggio. Tutto ciò provocò l'interruzione delle rappresentazioni per qualche giorno, ma gli inviti a corte e nelle case dei grandi signori si susseguirono ugualmente.
Nel 1660 vi fu il gran successo di Sganarello o il cornuto immaginario. Nel frattempo il re fece prontamente assegnare alla compagnia la sala del Palais-Royal, ed in giugno vi fu la presentazione de La scuola dei mariti (École des maris).
In onore ad una festa offerta a Luigi XIV, in quindici giorni Molière scrisse e mise in scena la commedia Gli importuni (Fâcheux). Il 20 febbraio 1662, sposò Armande Béjart ufficialmente sorella, ma quasi sicuramente figlia, di Madeleine, ed anch'essa entrò a far parte della troupe. In dicembre, venne rappresentata La scuola delle mogli (École des femmes) che superò in successo ed in valore tutte le commedie precedenti. L'opera portò tuttavia allo scontro con i rigoristi cristiani.
Tra il 1667 e 1668, ispirandosi alla commedia in prosa di Tito Maccio Plauto, Aulularia, e prendendo spunti anche da altre commedie (I suppositi dell'Ariosto; L'Avare dupé di Chappuzeau, del 1663; La Belle plaideuse di Boisrobert, del 1654; La Mère coquette di Donneau de Vizé, del 1666) scrive L'avaro (L'Avare ou l'École du mensonge) che viene rappresentato per la prima volta a Parigi, al Palais-Royal il 9 settembre 1668.
Buon amico degli attori italiani, discepolo del napoletano Tiberio Fiorilli (il popolare Scaramouche), l'attore Molière ha "collaborato" con il commediografo, ha contribuito a dargli il senso pratico del teatro, le risorse del mestiere, la conoscenza delle esigenze della scena e dei pubblico.
Nel 1673, anno della morte del drammaturgo, la sua compagnia l'Illustre Theatre assorbe i resti di quella del Teatro di Marais e nel 1680, a sette anni dalla morte di Molière, il re, con un ordine speciale, sancisce la fusione con l'Hotel de Bougogne, dando vita all'inizio della Comédie Française, con casa all'Hotel Guénégaud.
Molière morì il 17 febbraio 1673 di tubercolosi mentre recitava Il malato immaginario, prima di morire aveva recitato a fatica, coprì la tosse - si dice - con una risata forzata, e morì tra le braccia di due suore che lo avevano accompagnato a casa. Da qui nasce la superstizione di non indossare, in Francia, il verde in scena, in quanto egli indossava un abito dello stesso colore. In Italia la superstizione si basa, invece, sul colore viola, che si dice fosse il colore dell'abito di scena del Molière nel momento della sua morte, vera e recitata, nell'ultima scena teatrale.
Il divieto di inumazione cattolica per gli attori e commedianti che vigeva all'epoca fu aggirato, su intercessione del Re presso l'Arcivescovo, con la sepoltura di Molière nel cimitero di Saint-Eustache, ma ad una profondità di più di quattro piedi, misura che fissava l'estensione in profondità della terra consacrata. Oggi la tomba di Molière si trova nel famoso cimitero parigino di Père-Lachaise, proprio accanto alla tomba di Jean de La Fontaine.
Opere Principali
Il medico volante, Le Médecin volant (1645)
La gelosia dell'impiastricciato, La Jalousie du barbouillé (1650)
Lo stordito, L'Étourdi ou les Contretemps (1655)
Il dispetto amoroso, Le Dépit amoureux (16 dicembre 1656)
Il dottore innamorato, Le Docteur amoureux (1658)
Le preziose ridicole, Les Précieuses ridicules (18 novembre 1659)
Sganarello o il cornuto immaginario, Sganarelle ou le Cocu imaginaire (28 maggio 1660)
Don Garcia di Navarra o il principe geloso, Dom Garcie de Navarre ou le Prince jaloux (4 febbraio 1661)
La scuola dei mariti, L'École des maris (24 giugno 1661)
Gli importuni, Les Fâcheux (17 agosto 1661)
La scuola delle mogli, L'École des femmes (26 dicembre 1662)
La gelosia di Gros-René, La Jalousie du Gros-René (15 aprile 1663)
La critica alla scuola delle mogli, La Critique de l'école des femmes (1 giugno 1663)
L'improvvisazione di Versailles, L'Impromptu de Versailles (14 ottobre 1663)
Il matrimonio forzato, Le Mariage forcé (29 gennaio 1664)
Gros-René, petit enfant 27 aprile 1664
La principessa d'Elide, La Princesse d'Élide (8 maggio 1664)
Il Tartufo, Tartuffe ou l'Imposteur (12 maggio 1664)
Don Giovanni o il convitato di pietra, Dom Juan ou le Festin de pierre (15 febbraio 1665)
L'amore medico, L'Amour médecin (15 settembre 1665)
Il misantropo, Le Misanthrope ou l'Atrabilaire amoureux (1666)
Il medico per forza, Le Médecin malgré lui (6 agosto 1666)
Melicerta, Mélicerte (2 dicembre 1666)
Pastorale comica, Pastorale comique (5 gennaio 1667)
Il siciliano o l'amor pittore, Le Sicilien ou l'Amour peintre (14 febbraio 1667)
Anfitrione, Amphitryon (13 gennaio 1668)
George Dandin o il marito confuso, George Dandin ou le Mari confondu (18 luglio 1668)
L'avaro, L'Avare ou l'École du mensonge (9 settembre 1668)
Il signor di Pourceaugnac, Monsieur de Pourceaugnac (6 ottobre 1669)
I favolosi amanti, Les Amants magnifiques (4 febbraio 1670)
Il borghese gentiluomo, Le Bourgeois Gentilhomme (14 ottobre 1670)
Psiche, Psyché (17 gennaio 1671)
Le furberie di Scapino, Les Fourberies de Scapin (24 maggio 1671)
La Contessa d'Escarbagnas, La Comtesse d'Escarbagnas (2 dicembre 1671)
Le donne intellettuali oppure Le femmine saccenti, Les Femmes Savantes (11 marzo 1672)
Il malato immaginario, Le Malade imaginaire (10 febbraio 1673)
Poetica
Molière, attore e allo stesso tempo drammaturgo, ricercò uno stile di scrittura e recitazione meno legato alle convenzioni dell'epoca, e proteso verso una naturalezza realistica, che descrivesse al meglio le situazioni e la psicologia dei personaggi. Queste idee, che si realizzeranno in seguito nel teatro borghese, cominciano ad emergere con forza ne La scuola delle mogli e ne Il misantropo. Un nuovo stile che Molière accompagna con una critica feroce della morale dell'epoca. La sua acuta osservazione della realtà fu spesso per Molière fonte di guai, specialmente quando i nobili oggetto delle sue satire si riconoscevano nei suoi personaggi. È nota la reazione del duca di La Feuillade, riconosciutosi nel Marchese della Critica alla scuola delle mogli. Simili incidenti accaddero con Monsieur d'Armagnac, scudiero di Francia, e con il duca di Montasieur, precettore del Delfino, che minacciò di bastonarlo a morte per averlo preso a modello nel creare il personaggio di Alceste, il misantropo, salvo poi cambiare idea e ringraziarlo dell'onore concessogli.
L'aspirazione di Molière, spesso costretto a scrivere commedie-balletto per compiacere ai gusti del re, fu quella di dedicarsi a sviluppare un nuovo tipo di commedia, che porterà in seguito alla nascita della commedia di costume moderna, ispirata agli accadimenti quotidiani, scritta in prosa e che obbedisca alla verosimiglianza. Molière può essere considerato a tutti gli effetti il precursore di quel rinnovamento teatrale che comincerà ad esprimersi compiutamente un secolo dopo, con Carlo Goldoni, fino a raggiungere la piena maturità nel teatro di Anton Čechov. Anche Dario Fo lo ha spesso indicato tra i suoi maestri e modelli.
mercoledì 14 aprile 2010
William Shakespeare
William Shakespeare
E' nato a Stratford upon Avon il 26 aprile 1546. E' stato un poeta e drammaturgo inglese.
Considerato uno dei pochi scrittori capaci di eccellere sia nelle tragedie sia nelle commedie, fu uno dei pochi drammaturghi della sua epoca capace di combinare il gusto popolare con una complessa caratterizzazione dei personaggi, una poetica raffinata e una notevole profondità filosofica.
Benché fosse già molto popolare in vita, divenne enormemente famoso dopo la sua morte e i suoi lavori furono esaltati e celebrati da numerosi ed importanti personaggi dei secoli seguenti; è spesso considerato inoltre il poeta rappresentativo del popolo inglese,soprannominato anche il Bardo dell'Avon (o semplicemente Il Bardo) oppure il Cigno dell'Avon.
Shakespeare visse a cavallo fra il XVI e il XVII secolo, un periodo in cui si stava realizzando il passaggio dalla società medioevale al mondo moderno. Nel 1558 sul trono del regno era salita Elisabetta I d'Inghilterra, inaugurando un periodo di fioritura artistica e culturale che da lei prese il nome.
Il padre di Shakespeare, John, emigrò a metà Cinquecento a Stratford-upon-Avon, dove divenne guantaio e conciatore. Prese in moglie Mary Arden, figlia di un ricco agricoltore. Shakespeare ebbe una florida istruzione classica dovuta alle leggi elisabettiane che prevedevano una cultura classica e l'insegnamento del latino in tutte le scuole.
Il 27 novembre 1582, all'età di diciotto anni, sposa a Stratford Anne Hathaway, ventiseienne che gli diede 3 figli la primogenita Susannah e successivamente una coppia di gemelli Hamnet e Judit.Si pensa che questo matrimonio sia stato combinato e forse dovuto all'inattesa gravidanza di Anne.
Dopo la nascita dei due figli non si hanno più informazioni sulla vita di shakespeare per un lungo periodo fin quando non comincia il suo lavoro da attore e scrittore a Londra.Alcuni dicono lavorando come stalliere, altri come insegnante presso la corte di un nobile.
Diversi documenti del 1592 ci informano del successo di Shakespeare in ambito teatrale: sappiamo che sue opere sono già state rappresentate dalle compagnie dei conti di Derby, di Pembroke e del Sussex; si ha notizia, inoltre, della rappresentazione il 3 marzo 1592 della prima parte dell'Enrico VI.
La fama di Shakespeare era in ascesa vertiginosa, tanto da attirarsi le gelosie dei colleghi più anziani.
Negli anni 1593-94, a causa di una epidemia di peste, i teatri inglesi rimasero chiusi. Shakespeare, in questo periodo, non si fermò come molti suoi colleghi, ma scrisse molte opere che poi pubblicò come Venere e Adone e Il ratto di Lucrezia. Dal 1594 entra nella compagnia dei "servi del Lord Ciambellano" (The Lord Chamberlain's Men), della quale facevano parte Richard Burbage e William Kempe.
Nel 1596 muore il figlio maschio (Hamnet) che fu sepolto l'11 agosto 1596 e a cui si pensa sia dedicata la sua opera "Hamlet".
Sempre nel 1956 il padre di Shakespeare ottenne un titolo nobiliare tanto agoniato dall'artista londinese.
Pochi anni dopo la fama di Shakespeare e il suo successo presso il pubblico gli consentirono l'acquisto di un appezzamento terriero a Stratford dove fece costruire un florida residenza dove poi avrebbe trascorso gli ultimi anni di vita.
Nel 1958vShakespeare divenne azionista (circa del 10%) della compagnia teatrale di cui faceva parte, conosciuta come The Lord Chamberlain's Men - la compagnia prendeva il nome, come altre di quel periodo, dal suo sponsor aristocratico. Essa, soprattutto grazie all'opera di Shakespeare, era talmente popolare da far sì che, dopo la morte di Elisabetta I e l'incoronazione di Giacomo I (1603), il nuovo monarca adottasse la compagnia che si fregiò così del titolo di The King's Men (Gli uomini del re) nella quale Shakespeare ricoprì il ruolo di amministratore, oltre a quelli di drammaturgo e attore.Vari documenti che registrano affari legali e transazioni economiche mostrano che la ricchezza di Shakespeare si accrebbe di molto nei suoi anni londinesi.
Intorno al 1611 si ritirò nella sua città natale, Stratford.
Shakespeare morì il 23 aprile del 1616, e venne seppellito nel coro della chiesa parrocchiale di Stratford "Holy Trinity". Restò sposato ad Anne fino alla morte.
L'opera
Fatta eccezione per due poemetti giovanili (Venere e Adone e Lo stupro di Lucrezia), Shakespeare non si è mai curato di dare alle stampe le proprie opere; d’altra parte a quel tempo non vi era interesse a farlo: le opere teatrali erano di proprietà della compagnia e pubblicarle avrebbe significato mettere nelle mani di compagnie rivali i propri copioni. Le opere di Shakespeare oggi in nostro possesso si basano quindi su copie illegali, spesso malandate, dell’epoca (i cosiddetti bad Quartos) e soprattutto sulle edizioni in-folio pubblicate dopo la sua morte. La prima e la più importante di queste è quella stampata nel 1623 dai suoi amici John Heminge e Henry Condell (Mr. William Shakespeare’s Comedies, Histories & Tragedies). L’in-folio comprende trentasei opere teatrali suddivise per categoria: commedie, drammi storici, tragedie.
Le opere
Tragedie
Romeo e Giulietta
Macbeth
Re Lear
Amleto
Otello
Tito Andronico
Giulio Cesare
Antonio e Cleopatra
Coriolano
Troilo e Cressida
Timone di Atene
Commedie
La commedia degli errori
Tutto è bene quel che finisce bene
La dodicesima notte
Come vi piace
Sogno di una notte di mezza estate
Molto rumore per nulla
Misura per misura
La tempesta
La bisbetica domata
Il mercante di Venezia
Le allegre comari di Windsor
Pene d'amore perdute
I due gentiluomini di Verona
Pericle principe di Tiro
Cimbelino
Il racconto d'inverno
Drammi storici
Riccardo III
Riccardo II
Enrico VI, parte I
Enrico VI, parte II
Enrico VI, parte III
Enrico V
Enrico IV, parte I
Enrico IV, parte II
Enrico VIII
Re Giovanni
Lo stile
E' nato a Stratford upon Avon il 26 aprile 1546. E' stato un poeta e drammaturgo inglese.
Considerato uno dei pochi scrittori capaci di eccellere sia nelle tragedie sia nelle commedie, fu uno dei pochi drammaturghi della sua epoca capace di combinare il gusto popolare con una complessa caratterizzazione dei personaggi, una poetica raffinata e una notevole profondità filosofica.
Benché fosse già molto popolare in vita, divenne enormemente famoso dopo la sua morte e i suoi lavori furono esaltati e celebrati da numerosi ed importanti personaggi dei secoli seguenti; è spesso considerato inoltre il poeta rappresentativo del popolo inglese,soprannominato anche il Bardo dell'Avon (o semplicemente Il Bardo) oppure il Cigno dell'Avon.
Shakespeare visse a cavallo fra il XVI e il XVII secolo, un periodo in cui si stava realizzando il passaggio dalla società medioevale al mondo moderno. Nel 1558 sul trono del regno era salita Elisabetta I d'Inghilterra, inaugurando un periodo di fioritura artistica e culturale che da lei prese il nome.
Il padre di Shakespeare, John, emigrò a metà Cinquecento a Stratford-upon-Avon, dove divenne guantaio e conciatore. Prese in moglie Mary Arden, figlia di un ricco agricoltore. Shakespeare ebbe una florida istruzione classica dovuta alle leggi elisabettiane che prevedevano una cultura classica e l'insegnamento del latino in tutte le scuole.
Il 27 novembre 1582, all'età di diciotto anni, sposa a Stratford Anne Hathaway, ventiseienne che gli diede 3 figli la primogenita Susannah e successivamente una coppia di gemelli Hamnet e Judit.Si pensa che questo matrimonio sia stato combinato e forse dovuto all'inattesa gravidanza di Anne.
Dopo la nascita dei due figli non si hanno più informazioni sulla vita di shakespeare per un lungo periodo fin quando non comincia il suo lavoro da attore e scrittore a Londra.Alcuni dicono lavorando come stalliere, altri come insegnante presso la corte di un nobile.
Diversi documenti del 1592 ci informano del successo di Shakespeare in ambito teatrale: sappiamo che sue opere sono già state rappresentate dalle compagnie dei conti di Derby, di Pembroke e del Sussex; si ha notizia, inoltre, della rappresentazione il 3 marzo 1592 della prima parte dell'Enrico VI.
La fama di Shakespeare era in ascesa vertiginosa, tanto da attirarsi le gelosie dei colleghi più anziani.
Negli anni 1593-94, a causa di una epidemia di peste, i teatri inglesi rimasero chiusi. Shakespeare, in questo periodo, non si fermò come molti suoi colleghi, ma scrisse molte opere che poi pubblicò come Venere e Adone e Il ratto di Lucrezia. Dal 1594 entra nella compagnia dei "servi del Lord Ciambellano" (The Lord Chamberlain's Men), della quale facevano parte Richard Burbage e William Kempe.
Nel 1596 muore il figlio maschio (Hamnet) che fu sepolto l'11 agosto 1596 e a cui si pensa sia dedicata la sua opera "Hamlet".
Sempre nel 1956 il padre di Shakespeare ottenne un titolo nobiliare tanto agoniato dall'artista londinese.
Pochi anni dopo la fama di Shakespeare e il suo successo presso il pubblico gli consentirono l'acquisto di un appezzamento terriero a Stratford dove fece costruire un florida residenza dove poi avrebbe trascorso gli ultimi anni di vita.
Nel 1958vShakespeare divenne azionista (circa del 10%) della compagnia teatrale di cui faceva parte, conosciuta come The Lord Chamberlain's Men - la compagnia prendeva il nome, come altre di quel periodo, dal suo sponsor aristocratico. Essa, soprattutto grazie all'opera di Shakespeare, era talmente popolare da far sì che, dopo la morte di Elisabetta I e l'incoronazione di Giacomo I (1603), il nuovo monarca adottasse la compagnia che si fregiò così del titolo di The King's Men (Gli uomini del re) nella quale Shakespeare ricoprì il ruolo di amministratore, oltre a quelli di drammaturgo e attore.Vari documenti che registrano affari legali e transazioni economiche mostrano che la ricchezza di Shakespeare si accrebbe di molto nei suoi anni londinesi.
Intorno al 1611 si ritirò nella sua città natale, Stratford.
Shakespeare morì il 23 aprile del 1616, e venne seppellito nel coro della chiesa parrocchiale di Stratford "Holy Trinity". Restò sposato ad Anne fino alla morte.
L'opera
Fatta eccezione per due poemetti giovanili (Venere e Adone e Lo stupro di Lucrezia), Shakespeare non si è mai curato di dare alle stampe le proprie opere; d’altra parte a quel tempo non vi era interesse a farlo: le opere teatrali erano di proprietà della compagnia e pubblicarle avrebbe significato mettere nelle mani di compagnie rivali i propri copioni. Le opere di Shakespeare oggi in nostro possesso si basano quindi su copie illegali, spesso malandate, dell’epoca (i cosiddetti bad Quartos) e soprattutto sulle edizioni in-folio pubblicate dopo la sua morte. La prima e la più importante di queste è quella stampata nel 1623 dai suoi amici John Heminge e Henry Condell (Mr. William Shakespeare’s Comedies, Histories & Tragedies). L’in-folio comprende trentasei opere teatrali suddivise per categoria: commedie, drammi storici, tragedie.
Le opere
Tragedie
Romeo e Giulietta
Macbeth
Re Lear
Amleto
Otello
Tito Andronico
Giulio Cesare
Antonio e Cleopatra
Coriolano
Troilo e Cressida
Timone di Atene
Commedie
La commedia degli errori
Tutto è bene quel che finisce bene
La dodicesima notte
Come vi piace
Sogno di una notte di mezza estate
Molto rumore per nulla
Misura per misura
La tempesta
La bisbetica domata
Il mercante di Venezia
Le allegre comari di Windsor
Pene d'amore perdute
I due gentiluomini di Verona
Pericle principe di Tiro
Cimbelino
Il racconto d'inverno
Drammi storici
Riccardo III
Riccardo II
Enrico VI, parte I
Enrico VI, parte II
Enrico VI, parte III
Enrico V
Enrico IV, parte I
Enrico IV, parte II
Enrico VIII
Re Giovanni
Lo stile
IL TEATRO NEL MEDIOEVO
Generalmente, gli storici della letteratura hanno accettato per lungo tempo che durante il Medioevo, periodo considerato per antonomasia buio e tetro, non vi fosse stata la presenza del genere teatrale. Le scoperte più attuali, confermano invece la sua esistenza, anche se non è stato possibile rinvenire resti delle strutture entro cui avvenivano gli spettacoli, poiché questi si svolgevano all’aperto, essendo le compagnie girovaghe e lavorando intorno ai loro carri, all’aperto, nelle piazze. Si trattava in questo caso, essenzialmente di teatro buffonesco, di mimi e di farse popolari, le quali avvenivano, malgrado i divieti della legge.
Dall’altra parte, si svolgeva invece un teatro di stile religioso, che nasceva dalla liturgia del mondo cattolico e che consisteva essenzialmente in rappresentazioni sacre: la passione, la natività, storie di santi e martiri, ecc.
Il Medioevo era infatti considerato l’ “età della chiesa” e le uniche forme di teatro permesse erano la Ufficia Vigiliae e l’Officium Sepolcri, riti sacri legati alla liturgia, che facevano parte della messa. Non c’era alcun tipo di allestimento e la parte drammatica era ridotta ai minimi termini. Con il passare del tempo il dialogo si semplifica ed aumentano anche i personaggi. Nel IX° secolo compaiono i primi uffici rimati, dialoghi poetici con accompagnamento musicale, nei libretti, in cui, accanto ai versi, vengono evidenziate delle lettere che indicano con quale intensità della voce andassero pronunciate. Inoltre vengono inserite delle note anche riguardo l’abito di scena e il tipo di allestimento. La chiesa si stava trasformando in teatro.
Gli attori erano solo uomini che interpretavano anche parti femminili senza far molto caso alle fattezze; gli abiti di scena, dai parametri sacri vengono modificati con accessori in grado di caratterizzare il personaggio e viene fatta attenzione all’anacronismo degli abiti in modo che il pubblico possa riconoscere il personaggio.
La chiesa, intesa come spazio architettonico, diventò ben presto un ambiente troppo stretto per lo svolgimento delle rappresentazioni sacre, sia dal punto di vista volumetrico sia dal punto di vista riguardante la libertà espressiva.
Si iniziarono presto (cioè fin dalla fine del 1300) a costruire dei "palcoscenici" nei sagrati all'esterno delle chiese e la conseguenza fu proprio la nascita di rappresentazioni teatrali con tematiche profane (dal greco pro fanòs che significa proprio prima/fuori dal tempio).
l giullare, figura emblematica del teatro medievale, è a tutti gli effetti un attore professionista, si guadagna cioè da vivere divertendo il popolo nelle piazze od allietando i banchetti, le nozze, i festini e le veglie. Prima che prevalesse il termine generico "Giullare" (da latino Joculator), tali attori venivano chiamati con appellativi specifici che designavano ogni "performer" secondo i loro campi d'azione. C'erano i saltatores (saltimbanchi), i balatrones (ballerini) i bufones (comici) e persino i divini (gli indovini).
Il luogo della rappresentazione era spesso non solo la pubblica piazza ma anche le corti dei grandi signori.
Generalmente, gli storici della letteratura hanno accettato per lungo tempo che durante il Medioevo, periodo considerato per antonomasia buio e tetro, non vi fosse stata la presenza del genere teatrale. Le scoperte più attuali, confermano invece la sua esistenza, anche se non è stato possibile rinvenire resti delle strutture entro cui avvenivano gli spettacoli, poiché questi si svolgevano all’aperto, essendo le compagnie girovaghe e lavorando intorno ai loro carri, all’aperto, nelle piazze. Si trattava in questo caso, essenzialmente di teatro buffonesco, di mimi e di farse popolari, le quali avvenivano, malgrado i divieti della legge.
Dall’altra parte, si svolgeva invece un teatro di stile religioso, che nasceva dalla liturgia del mondo cattolico e che consisteva essenzialmente in rappresentazioni sacre: la passione, la natività, storie di santi e martiri, ecc.
Il Medioevo era infatti considerato l’ “età della chiesa” e le uniche forme di teatro permesse erano la Ufficia Vigiliae e l’Officium Sepolcri, riti sacri legati alla liturgia, che facevano parte della messa. Non c’era alcun tipo di allestimento e la parte drammatica era ridotta ai minimi termini. Con il passare del tempo il dialogo si semplifica ed aumentano anche i personaggi. Nel IX° secolo compaiono i primi uffici rimati, dialoghi poetici con accompagnamento musicale, nei libretti, in cui, accanto ai versi, vengono evidenziate delle lettere che indicano con quale intensità della voce andassero pronunciate. Inoltre vengono inserite delle note anche riguardo l’abito di scena e il tipo di allestimento. La chiesa si stava trasformando in teatro.
Gli attori erano solo uomini che interpretavano anche parti femminili senza far molto caso alle fattezze; gli abiti di scena, dai parametri sacri vengono modificati con accessori in grado di caratterizzare il personaggio e viene fatta attenzione all’anacronismo degli abiti in modo che il pubblico possa riconoscere il personaggio.
La chiesa, intesa come spazio architettonico, diventò ben presto un ambiente troppo stretto per lo svolgimento delle rappresentazioni sacre, sia dal punto di vista volumetrico sia dal punto di vista riguardante la libertà espressiva.
Si iniziarono presto (cioè fin dalla fine del 1300) a costruire dei "palcoscenici" nei sagrati all'esterno delle chiese e la conseguenza fu proprio la nascita di rappresentazioni teatrali con tematiche profane (dal greco pro fanòs che significa proprio prima/fuori dal tempio).
l giullare, figura emblematica del teatro medievale, è a tutti gli effetti un attore professionista, si guadagna cioè da vivere divertendo il popolo nelle piazze od allietando i banchetti, le nozze, i festini e le veglie. Prima che prevalesse il termine generico "Giullare" (da latino Joculator), tali attori venivano chiamati con appellativi specifici che designavano ogni "performer" secondo i loro campi d'azione. C'erano i saltatores (saltimbanchi), i balatrones (ballerini) i bufones (comici) e persino i divini (gli indovini).
Il luogo della rappresentazione era spesso non solo la pubblica piazza ma anche le corti dei grandi signori.
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